È sempre la stessa scuola, c’è poco da fare. Cambiano i tempi, le dinamiche sociali, le condizioni economiche. Eppure c’è un piccolo grande mondo che sembra viaggiare da decenni con le medesime regole di base: è quello dell’istruzione. Si susseguono riforme, si fa di tutto per modificare e adattare la didattica e la formazione alle mutate esigenze della società. Ma la scuola resta incredibilmente ancorata ad uno schema fisso, crea percorsi prestabiliti, non riesce a far scegliere le nuove generazioni in maniera autonoma. Come se il futuro di ognuno di noi sia scritto nel nostro Dna e non sia lasciato alla libera iniziativa personale. Così è per la scelta delle superiori.
Le classi sociali esistono, anche a scuola
Ciò che i giovani saranno da adulti è ancora, in parte, un fattore quasi ereditario: i ricchi da una parte e i meno ricchi da un’altra, gli istruiti di qua e i meno istruiti di là. Rarissimi i casi in cui un ragazzo riesce a fuggire dalla sua posizione in una gerarchia che un grande disegno universale sembra avergli cucito addosso e dalla quale è quasi impossibile liberarsi. La scala mobile sociale è praticamente ferma. È assurdo dirlo ma è così. E, nel frattempo, il senso di sfiducia rimane la costante di fondo.
Il Rapporto Almalaurea sui diplomati del 2017
Sono anni che Skuola.net analizza rapporti, indagini, ricerche, studi. E puntualmente si ritrova a constatare che, rispetto a dodici mesi prima, è cambiato poco o nulla, ad eccezione di qualche timido segnale di miglioramento. L’ultima conferma in ordine di tempo giunge dal Rapporto Almalaurea di fine anno sul profilo dei diplomati nel 2017.
Le attività di orientamento funzionano, ma solo quelle 'in uscita'
Il Rapporto, infatti, ci dice che le attività di orientamento funzionano abbastanza bene. Peccato che entrino in azione quando è ormai troppo tardi. Alla vigilia della maturità, appena 1 studente su 10 - il 13% - non aveva idea di cosa fare dopo il diploma (un dato che, tra i liceali, scende ulteriormente fino al 7%). In generale, oltre la metà dei diplomati – il 55% - è perciò soddisfatta degli strumenti che la scuola gli ha fornito per decidere del proprio avvenire; addirittura il 62% tra chi vuole cercare subito lavoro, specialmente se escono da un istituto professionale. Ma non si può ancora cantare vittoria.
Più di 1 diplomato su 3 è pentito della scelta fatta cinque anni prima
Perché il percorso s’inizia a impostare molto prima, nel momento in cui si decide quale scuola superiore si vuole frequentare; ogni indirizzo ha le sue caratteristiche, i suoi sbocchi. Ma gli adolescenti, dopo la licenzia media, arrivano di fronte al grande interrogativo quasi al buio. Ne è testimonianza il dato forse più importante dell’intera indagine Almalaurea: più di 1 maturando su 3, potendo tornare indietro, non rifarebbe le stesse mosse. Il 26% seguirebbe un altro indirizzo, l’8% cambierebbe sia scuola che percorso. Se, poi, ci aggiungiamo quelli che andrebbero in una struttura diversa (salvando l’indirizzo) la quota sfiora il 50%. Tra questi, il 41% lo farebbe principalmente per studiare materie diverse, il 20% per compiere studi che preparino meglio al mondo del lavoro, il 16% per compiere studi più adatti in vista dell’università. I più scontenti? Quelli dei professionali: la metà – il 50% - si è pentita del tipo di diploma conseguito.
Nella scelta della scuola è determinante il 'fattore ereditario'
Orientamento che, dunque, funziona in uscita ma non in entrata. Ci sono più incognite su qualcosa che dovrebbe avere maggiori certezze e in cui la rosa di opzioni è piuttosto ristretta (la scuola) rispetto alle infinite variabili del dopo diploma (sia che si proseguano gli studi sia che si vada a lavorare): un vero paradosso. Una situazione che, ovviamente, genera incertezza. Chi si appresta a entrare nell’istruzione superiore, guardando all’esperienza dei suoi predecessori, è giustamente indeciso. Ed è qui che entra in gioco il famigerato ‘fattore ereditario’. È come se il tempo si fosse fermato a tanti e tanti anni fa: i figli dei laureati probabilmente saranno futuri laureati, i figli degli operai facile che seguiranno le orme dei genitori; chi è cresciuto in un contesto agiato proseguirà gli studi, chi viene da famiglie più modeste si rassegna a cercare lavoro il prima possibile.
Liceo, tecnico o professionale? È una questione di famiglia
Dinamiche che, in parte, potrebbero essere giustificabili. Specialmente se non ci si può permettere di pagarsi l’università, con in più lo spettro concreto di dover rimanere per anni e anni dalla laurea senza un’occupazione che ripaghi i sacrifici. Ciò che è inaccettabile è la proporzione con cui il fenomeno si manifesta ancora oggi. La quota di diplomati con genitori in possesso di titoli di laurea è massima fra chi ha frequentato i licei classici (59%) e scientifici (43%) e si riduce drasticamente fra chi è andato in un istituto tecnico (14% tecnico tecnologico e 13% tecnico economico) o professionale (si va dall’11% del professionale per i servizi all’8% del professionale per l’industria e l’artigianato). In più, gli indirizzi liceali si caratterizzano per una forte presenza di studenti di estrazione elevata (rispettivamente 47% e 35%) e una sotto-rappresentazione dei figli delle classi meno avvantaggiate (8% al classico, 14% allo scientifico).
I professori: una delle poche note liete della scuola attuale
Ma se, da un lato, il sistema fallisce c’è comunque un barlume di speranza. Un appiglio a cui aggrapparsi per tentare di salvare la situazione. Se la cornice non dà certezze è il contenuto del quadro a far ben sperare. Perché il mondo dell’istruzione, a dispetto dell’immagine che all’esterno da di sé, funziona. I suoi protagonisti recitano il loro ruolo alla perfezione. Per salvare la scuola bisognerebbe ripartire proprio dalla scuola. I primi a crederci sono gli studenti. Altrimenti non avrebbero promosso a pieni voti quelli che ogni giorno sono ‘in trincea’ assieme a loro: i professori. L’80% dei diplomati si dichiara piuttosto soddisfatto del periodo delle superiori soprattutto per merito dei docenti: il 79% dei neo-maturati ne apprezza la competenza, il 73% la disponibilità al dialogo, il 72% la chiarezza espositiva e il 63% le loro capacità di valutazione. Sul rapporto insegnante-studente, poi, sono quasi tutti d’accordo: il 90% dei diplomati ha un ricordo positivo. Almeno su questo punto la scuola, rispetto al passato, è davvero cambiata.