INDIANI D'AMERICA

Nativi americani, le inquietanti maschere del popolo Navajo di inizio Novecento

Tra il 1900 e il 1915, il fotografo ed etnologo Edward Curtis si impegnò nel ritrarre le tribù indiane, con i loro rituali e le loro tradizioni

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"Quello che hai visto ricordalo, perché quello che non hai visto ritorna a volare nel vento". In questo antico proverbio dei nativi americani Navajo si possono leggere molti significati: il grande ciclo della vita e della morte, il valore dell'esperienza, la fratellanza universale, il primato della Natura. Ma, forse, il riferimento più interessante è quello a ciò che "non viene visto". Il popolo Navajo aveva rituali complessi per celebrare questa "invisibilità" agli occhi, questa "festa dell'apparenza" che però era espressione dell'interiorità e dell'anima: le grandi protagoniste di queste cerimonie erano maschere "inquietanti", immortalate in una serie di scatti realizzati agli albori del Novecento.

Tra il 1900 e il 1915, il fotografo ed etnologo Edward Curtis ha immortalato decine e decine di nativi appartenenti a varie tribù nordamericane. Tra queste, il popolo Navajo abitava da circa 400 anni vaste aree dell'Arizona settentrionale e dei territori dello Utah e del Nuovo Messico. Al giorno d'oggi il gruppo etnico conta circa 250mila membri: un numero che lo configura come il più numeroso fra i nativi americani.

La mitologia e l'immaginario metafisico non sono rivolti verso l'alto o l'ultraterreno, come per le culture occidentali, ma verso il basso e le originarie forze della profondità terrestre. Da qui la creazione di un pantheon di divinità legate agli elementi naturali, celebrato e tramandato attraverso una serie di rituali.

Fra tutti spiccano le cerimonie e le danze celebrate indossando grandi ed elaborate maschere, realizzate con piume, pelli d'animale, rami d'abete e altri "doni forniti dalla terra". Alcune riproducevano le fattezze dell'essere mitico Tsunukwalahl e venivano utilizzate durante i cosiddetti Balli d'Inverno, riti propiziatori per le ore di luce e i raccolti. Altre erano dedicate al Ganaskidi, dio delle coltivazioni, dell'abbondanza e delle nebbie.

Una tipologia particolare di cerimonie era infine volta a "liberare" il male per renderlo visibile, e quindi vincibile, di fronte a tutta la comunità. E' il caso del rito denominato "Numhlim", che prevedeva l'utilizzo di costumi integrali fatti di pelliccia e di una maschera Hami, che in lingua Navajo indica propriamente una "cosa pericolosa".