Quando gli chiedi "dopo la famiglia, che cosa ti è mancato di più nella Casa del Grande Fratello?", Daniele Bossari ti guarda con quel sorriso aperto che ha conquistato il pubblico e ti risponde: "I miei viaggi virtuali". Ossia quelli che lo portano ad esplorare mondi fantastici, a correre a 300 km/h in auto, ad aggirarsi in stazioni spaziali orbitanti. Tutti i viaggi che solo i videogiochi e la realtà virtuale possono mettere a disposizione. "Sono un videogiocatore da sempre: per me sono una forma d'arte" spiega a Tgcom24.
Nella Casa lo abbiamo visto illuminarsi quando è entrata una Nintendo Switch e passare diversi pomeriggi a sfidare gli altri concorrenti. "Mi sono divertito, ma c'era solo un gioco! Poi è arrivato anche Mario Kart e le cose sono migliorate" dice Daniele. Un modo come un altro per vincere un po' la nostalgia dei suoi viaggi virtuali nella "game room" che, nella sua di casa, ha attrezzato al meglio. Una passione enorme che nasce da bambino, come testimoniano le tante console che tiene come reperti, compreso un rarissimo Vectrex, ma prosegue ancora oggi. E allora ripercorriamo questo viaggio.
Daniele, quando è nata la tua passione per i videogiochi?
Da quando ero bambino. Ho avuto la fortuna di avere tutte le console esistenti, magari di passaggio, magari già usate dai miei cugini, ma le ho provate tutte. Da quelle che nei primi anni Ottanta si collegavano alla televisione, in bianco e nero, con Pong e le manopole. E poi ovviamente Atari, Nintendo, PlayStation, C64, Amiga, i primi PC, fino alle attuali. Senza dimenticare quelle portatili: Game Boy, ma anche il vecchio Game Gear di SEGA.
Insomma, sei cresciuto a pane e videogiochi
Sì, perché molti dei ricordi della mia primissima infanzia sono legati a loro. I più vecchi, tra l'altro, non riguardano nemmeno le console, ma i vecchi giochi da bar, i coin-op. Passavo le estati in sala giochi, da Space Invaders e Asteroids fino a Pac-Man, Donkey Kong e poi il mio preferito, Braccio di Ferro, Popeye. Ero bravissimo, lo finivo e poi ricominciavo da capo! Ma se devo ricordare un momento in cui ho capito davvero che quelli erano sogni, erano mondi che mi avrebbero affascinato tutta la vita, penso a Dragon's Lair. Si trattava di un videogioco da bar interamente realizzato come un cartone animato (da Don Bluth ndr). In pratica dovevi solo fare la mossa giusta al momento giusto, era difficilissimo e costava dieci volte tanto gli altri. Ma che emozioni! Già le tematiche ti lasciavano respirare una complessità che fino a quel momento non aveva paragoni: il cavaliere Dirk che doveva salvare la principessa Daphne dalle grinfie del drago sputafuoco, il tutto in laser game, quindi con una qualità uguale a quella dei lungometraggi Disney. Insomma, fu come uno spartiacque. Ero piccolo, ma mi fece capire che cosa avrebbero potuto essere i videogiochi. È stato un periodo bellissimo, quasi magico. Ogni cosa aveva un sapore particolare. E non c'era solo Dragon's Lair, ma anche giochi difficilissimi come Lunar Landing, ora mi viene difficile anche capire come facessimo a superare i livelli! Non tutti erano poi capolavori: credo di essere uno dei pochi ad aver giocato ad E.T. su Intellevision: è considerato uno dei giochi più brutti della storia. (intere casse con le cartucce invendute furono sepolte nel deserto del Nevada e da poco "riesumate" ndr)
Una passione profonda che ti accompagna anche ora. Ma cosa è cambiato?
Per ogni periodo della vita, ho avuto una piattaforma preferita: dall'Intellivision al Dreamcast, dalla prima PlayStation che resta nel mio cuore, fino ad oggi con la realtà virtuale. Ma se ai tempi del Commodore 64, con il quale giocai tantissimo, dovevi riempire con la fantasia i buchi che gli scarsi mezzi tecnici, che la scarna grafica mettevano in scena, oggi è diverso. Non si usa più tanto la fantasia quanto l'immedesimazione che trovo una cosa sorprendente. La sensazione, rispetto al passato, è profondamente diversa e non è legata solo all'età, utilizzo proprio strumenti mentali diversi. Però, ed è una cosa che adoro, provo ancora stupore, quel sense of wonder che mi accompagnava da bambino quando giocavo a International Soccer e rimanevo a bocca aperta a guardare gli omini. Insomma, quando mi immergo nella realtà virtuale e poi riemergo nel mondo "fisico", ho lo stesso stupore e dico "wow", che livello di immersione. Non esiste nulla di così forte: cinema, letteratura, niente. Ed io sono un lettore vorace e un appassionato di film. E poi c'è un'altra cosa che adoro: mi sento un pioniere esattamente come mi sentivo un esploratore di un mondo totalmente nuovo. Il caschetto, i cavi che mi spuntano da tutte le parti, i sensori... insomma una dimensione sperimentale che mi piace molto provare e far provare ai miei amici.
La realtà virtuale è davvero il futuro del videogioco?
Io lo spero davvero, oggi è una nicchia, ma io confido che possa diventare un divertimento di massa. Per me è sempre stato un grande sogno, dal Tagliaerbe (film del 1992 sulla realtà virtuale ndr) in poi avevo sempre desiderato questa cosa. Negli anni Novanta avevo provato le prime esperienze in una fiera, poi nelle sale giochi inglesi e poi c’è stato un buco per anni in cui non se n'è più parlato, ma ora con questi visori, tocco concretamente questa possibilità: è la realizzazione di un sogno.
Come ti sei attrezzato?
Le ho prese tutte, Vive e Oculus: il primo lo trovo più completo, ma il secondo più semplice. Ho una stanza dedicata a questo hobby: mi piace l’idea di mettermi la maschera e partire per un viaggio. Gli dedico soprattutto la notte, dove non ho distrazioni: è un tipo di esperienza che richiede un livello di immersione più elevato di altri passatempi. E poi mi piace l’idea di poter aver un’offerta ampia e variegata di giochi magari brevi ma ben calibrati. Essendo molto dispendiosi a livello di energie, apprezzo il fatto che durino un numero di ore tutto sommato limitato. Ma soprattutto che siano esperienze che restano. Ti faccio un esempio: ho sempre avuto la passione per lo spazio, per le stazioni orbitanti. Ho letto molto sull'argomento, visto decine di documentari, sapevo com'è organizzata dalle foto e dai video. Ma quando sono entrato nella ISS con la realtà virtuale, ho finalmente capito tutto. Perché finalmente avevo chiare le dimensioni, le mie sensazioni sono diventate tridimensionali, potevo toccare con mano le cose e avevo il senso delle proporzioni preciso. E l'unico altro modo per farlo, sarebbe andare nello spazio. Ma vale anche per altri tipi di gioco, ad esempio le simulazioni di guida. L’immersione che hai con un casco, non puoi averla in altro modo. Ti guardi dietro, osservi il cordolo al lato. È talmente immersivo che una volta, mentre guidavo la mia auto virtuale, mi sono girato per paura che cadesse un oggetto che avevo nella mia auto reale! Le due esperienze si stavano sovrapponendo!
Generi preferiti?
Amo i giochi di corse e quelli esplorativi. Mi piacevano da ragazzo anche gli horror, ma adesso, con la realtà virtuale, sono fin troppo immersivi e controproducenti. Mi sono trovato con il battito accelerato, con la maglietta zuppa di sudore. No grazie! Perché mi devo fare del male? Preferisco allora esperienze esplorative, artistiche od oniriche. Prima di entrare al Grande Fratello ho giocato a Lone Echo, un titolo ambientato nello spazio, un'esperienza calma che ti permette di esplorare ma dentro la realtà virtuale. L'ho trovato davvero fantastico: la stazione spaziale malfunzionante, gli attori che sembrano reali, il crescendo di intensità. E poi, come dicevamo, aggiunge la dimensione spaziale e fisica che altrimenti non hai.
Ma al di là della realtà virtuale, cosa pensi dei videogiochi?
Per me il videogame è arte a tutti gli effetti. Negli Stati Uniti è entrato nei musei, al Moma c'è una sezione apposita e dovrebbe essere riconosciuto a livello universale. Perché ha il vantaggio di poter essere letto in molti modi. Più o meno profondo. Dai tre minuti di scacciapensieri, fino ad un’esperienza che può essere paragonata alla lettura di un grande classico. Prendi The Legend of Zelda, è un'epopea fantasy che non ha nulla da invidiare a grandi film o libri. E poi il videogame è un valore in estensione che lavora su diversi livelli. Per me, poi, è una passione totale: sia per il gioco da 3 minuti fino ai mondi aperti. Io, quando arriva un titolo che voglio finire, mi prendo 4 o 5 giorni senza uscire di casa per terminarlo.
Chissà come sarà contenta Filippa!
(ride) Per fortuna a casa lo sanno e sono preparati. Sanno che sostanzialmente il videogioco è una dimensione mia. Ho provato a coinvolgere mia figlia Stella e un po’ ci sono riuscito, magari con Kinect, ma per pochi minuti. Lei è più appassionata di altri generi, i suoi giochi sono più da smartphone e da iPad. Le console non hanno molto appeal su di lei. Io invece o faccio le serate con gli amici, i tornei di Fifa, o dei party games che possono coinvolgere più persone contemporaneamente. Altrimenti durante l’anno è un’esperienza mia personale, nemmeno online perché sono troppo lento, diventa frustrante. Preferisco giocare da solo, vivere le mie avventure. Una volta giocavo tantissimo, oggi devo selezionare le esperienze: le mie notti ora sono nella realtà virtuale.