LA STORIA

Nicola Fiasconaro e la favola del suo panettone siciliano: “Dolce nazionale, ma non è tutelato”

Il mastro pasticciere a Tgcom24: "Sfatiamo il luogo comune che quello vero sia solo milanese". Fiasconaro ha poi ribadito l'esigenza di un "rigore ricettario"

di Giorgia Argiolas

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“Oggi il panettone non è più meneghino, non è più veneto, non è più piemontese. È italiano. È universale. Ma non è abbastanza tutelato”. Parola del mastro pasticciere Nicola Fiasconaro, che, insieme alla famiglia, guida l’azienda dolciaria siciliana “Fiasconaro”. Sicilia e panettone? Un binomio apparentemente inusuale nella patria del cannolo e della cassata. Ma la storia, o meglio la favola, del panettone firmato da questa famiglia - venduto in tutto il mondo - abbatte ogni stereotipo sul tipico dolce natalizio. Tgcom24 ha intervistato l’artefice di questo “miracolo siciliano”.

Maestro Fiasconaro, il panettone è ormai un dolce diffuso e imitato in tutto il mondo. Esiste il rischio concreto che si possa perdere per strada la sua unicità? Crede sia abbastanza tutelato?
Assolutamente no. Noi italiani dovremmo tutelare maggiormente questo patrimonio. Il panettone merita rispetto! C’è un disciplinare che prevede che un dolce da ricorrenza, per chiamarsi con determinate dicitu-re, debba avere dei requisiti, vale a dire ingredienti specifici. Ma non viene rispettato. Il mondo imita il no-stro prodotto. Dal mio punto di vista, però, dovremmo mantenere un rigore ricettario. Purtroppo, ci sono delle esigenze diverse per il business. È anche imbarazzante vedere il panettone quasi “regalato” al supermercato. Lo stiamo massacrando! Costa più un chilo di pane di un chilo di panettone. Non è giusto svenderlo. È l’emblema dell’Italia bella, quella genuina, quella che ha successo. Cosa stiamo facendo? Creiamo i miti e poi li dissacriamo?

Quell’Italia bella, genuina e di successo che la “Fiasconaro” rappresenta. Com’è nata questa favola?
Nel 1953, mio padre (Mario Fiasconaro, ndr) ha inaugurato una piccola pasticceria a nord di Castelbuono, un borgo medioevale nei pressi di Palermo. È qui, precisamente nella piazzetta Minà Palumbo, che è iniziata la favola “Fiasconaro”, con le prime granite (che ancora si facevano con la neve), le brioche, le cassate, i cannoli, le paste di mandorla e via dicendo. Intorno agli anni ’60, la pasticceria è stata trasferita nella piazza principale del paese. Nel frattempo, siamo nati io e i miei fratelli e papà, già da bambini, è riuscito a farci innamorare di un mestiere: del suo mestiere.

Poi lei è cresciuto, è diventato pasticciere e ha avuto l’idea di produrre il panettone in Sicilia…
Sì, la mia grande intuizione… Io sono nato nel ’64 e già da ragazzino andavo a fare il garzone - oggi si chiama stage - nelle botteghe dolciarie, nelle officine di tutte le province siciliane. A 20 anni volevo un po’ capire cosa succedesse al Nord Italia così come all’estero e ho deciso di frequentare alcune accademie. È in una di queste che ho scoperto la magia del lievito madre, della pasta acida, dei dolci da ricorrenza più che altro. E, quindi, del panettone. Mio padre ne vendeva circa 2mila durante il Natale, ma non nostri. “Papà dobbiamo farlo in Sicilia. Perché non proviamo?”, gli ho detto un giorno. Non si è minimamente traumatizzato. L’anno successivo, nel 1988, quei 2mila panettoni si partorivano, nascevano, si creavano nell’antico laboratorio di famiglia. Da lì è iniziata l’avventura. Ma chi si immaginava che saremmo arrivati dove siamo oggi?

E i concittadini, invece, come hanno valutato la sua idea?
Ai tempi mi davano del pazzo. Mi dicevano: “Ma Nicola, fai le produzioni delle cassate, delle brioche. Che c’entra il panettone con la Sicilia?”. Papà - pur essendo una persona semplice, proveniva da una famiglia di pastori - era un visionario e ci credeva. Aveva la mentalità imprenditoriale. Quello, però, era un momento in cui il panettone si faceva solamente a Milano, in Piemonte, in Veneto. Oggi la situazione è ben diversa: dal Trentino alla Sicilia decine di migliaia tra panificatori e pasticcieri italiani producono questo dolce. È uno tsunami meraviglioso, un uragano incredibile, una rivoluzione.

Sente di essere stato un po’ il precursore di questa rivoluzione?
Eccome se lo sono stato! Oggi è una cosa usuale, normale, ma a quell’epoca - in cui mi prendevano davvero per matto - il panettone da pasticceria non lo faceva nessuno. Quando ho capito che in Sicilia acquisiva mercato, ho iniziato a portare il mio prodotto in giro per l’Italia, alle fiere e alle kermesse nazionali. Il primo container che abbiamo venduto a New York 20 anni fa ha fatto notizia in tutto il mondo. Da quel momento, la “Fiasconaro” è cresciuta sempre di più. Allo stesso tempo, hanno cominciato a crederci anche i miei colleghi. Oggi facciamo concorrenza alle grandi aziende che, da diverso tempo, si sono spostate dalla Lombardia a Verona. In Sicilia, ad esempio, ci sono centinaia e centinaia di pasticcieri e, quasi tutti, realizzano il prodotto nella loro bottega. Lo facciamo in tanti modi, mettendoci il cuore dell’agricoltura, quello che la nostra terra ci dona: utilizziamo gli agrumi, il marsala, lo zibibbo.

Possiamo dire che il panettone è sdoganato?
È universale! Basti pensare che il più grande stabilimento di panettoni non è nemmeno in Italia, ma a San Paolo del Brasile (opera di una famiglia di piemontesi). O che in Perù - dove questo dolce si mangia tutto l’anno - il consumo è 5 volte maggiore rispetto a quello del nostro Paese. Ora più che mai il panettone è il grande ambasciatore del made in Italy nel mondo, anche se solo simbolicamente. Questo deve dare grande gioia a tutti: ai lombardi come ai veneti. Come ne dà tantissima a me. Chi l’avrebbe mai detto 30 anni fa che sarei stato il primo a credere in un fenomeno che oggi è dirompente.

Quindi non è un azzardo dire che il panettone ora è di tutta Italia?
Lo si può dire, lo si può dire in tutta serenità. Sfatiamo il luogo comune che il panettone vero sia solo milanese. Ma con il dovuto rispetto per i grandi pasticcieri meneghini, che sono i miei miti.

Torniamo alla “Fiasconaro”. Inizialmente, i milanesi vedevano di buon occhio il panettone siciliano?
Solo all’inizio - ossia 30 anni fa - c’era titubanza: “Chi è questo terrone che fa il panettone?”, si chiedevano. Poi hanno capito che il prodotto era quasi più buono del loro. Oggi dire che il panettone “Fiasconaro” è consacrato a Milano è poco. Lo vogliono tutti e questa è la vittoria più grande: significa che piace soprattutto ai meneghini. Ma non da adesso, da oltre 20 anni.

Esportate prodotti in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Ulteriori sogni nel cassetto?
Tanti negozi “Fiasconaro”: dai duty free degli aeroporti alla 5th Avenue di Manhattan fino a Dubai. Perché no, il mondo è talmente grande, c’è spazio per tutti. Tra qualche anno questo progetto potrebbe diventare realtà.

La vostra è proprio una favola…
È una favola, veramente. In Sicilia dare benessere e serenità a 130 famiglie è una cosa eccezionale. Io stimolo sempre le nuove generazioni a rimboccarsi le maniche, sono la linfa del futuro. Papà era una persona semplice, ma ha avuto modo di farci innamorare di un mestiere. Spero che possano nascere altre giovani realtà. Altre piccole favole. Le utopie si possono realizzare. E noi ne siamo la prova.