Il diritto ad accedere a Internet dovrebbe entrare nella Costituzione? Il ministro per l’innovazione e la transizione tecnologica Colao ha lanciato la proposta nel dibattito alla Camera, soprattutto per attirare l’attenzione sui nuovi diritti che si sono evidenziati nell’epoca della pandemia. La proposta fa discutere e ci sono anche significativi interventi critici, ma la sostanza è interessante e giusta. L’arretratezza italiana per quanto riguarda la presenza e l’uso della rete é antica ed evidente, ancora di più in un periodo in cui alcuni servizi pubblici sono stati sostituiti con il lavoro o l’istruzione a distanza.
Abbiamo cominciato con la scuola a verificare le enormi diseguaglianze derivate proprio dall’accesso alla rete. È un problema che aggrava le già contraddittorie decisioni prese dalle varie Regioni e si aggiunge alla disparità evidente tra gli studenti più abbienti e quelli più poveri. È sembrato di tornare indietro di molti anni, anche per l’aumento della differenza competitiva della rete tra Nord e Sud. I dati di Confindustria Digitale dicono che il divario digitale si va a sommare ai fattori di disuguaglianza già esistenti. In sintesi, il diritto allo studio, per due anni consecutivi, non è stato uguale per tutti e la differenza rischia di trascinarsi in futuro.
Il governo Draghi fa bene a concentrarsi sulle vaccinazioni e, di conseguenza, sulle ripartenze, ma nei prossimi cinque anni noi abbiamo, anche grazie ai prestiti europei, l’opportunità e il dovere di colmare il divario digitale. Altrimenti il Paese finisce in serie B. Il problema è più complesso di quel che sembra, perché siamo entrati nella pandemia al venticinquesimo posto nella capacità di uso digitale, ma con uno scarto molto maggiore sul tema delle competenze, cioè, per dirla semplicemente, sulla capacita delle strutture e dei cittadini di usare la fibra che sarebbe già a nostra disposizione per i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini. Alcuni dati sono importanti: a fronte di una media nazionale del 76 per cento di famiglie connesse, restano indietro soprattutto le regioni meridionali con quasi 13 punti percentuale di differenza rispetto alle regioni più connesse. Oltre un milione di minori vive nei 4 mila comuni dove nessuna famiglia è raggiunta dalla rete fissa a 30 Mb.
Divario digitale per l’istruzione, dunque, ma anche per la vita civile: in tempi di vaccinazioni, molto si muove attraverso la possibilità di seguire il percorso anagrafico e di prenotare via internet la propria data di vaccinazione (ed anche quella di richiamo). Abbiamo registrato centinaia di casi, soprattutto di comuni e zone isolate, nei quali le persone anziane non sanno proprio come collegarsi e prenotare. In molti casi, vengono aiutati da amici o parenti più giovani, in molti altri restano semplicemente ai margini, contraddicendo cosí l’indicazione di vaccinare prima le persone più anziane e fragili. Una volta vaccinati, c'è il problema dell’attestato da ritirare presso l’anagrafe vaccinale, dal proprio fascicolo sanitario elettronico: ancora un’operazione internet da realizzare grazie allo Spid 2. Ecco un altro strumento, lo Spid che contiene un divario digitale che a volte coinvolge anche il personale delle Poste, addetto ad attivarlo, ma non tutto e non sempre in grado di farlo velocemente. Non è soltanto un problema di rete, ma di competenze e alfabetizzazione che ricade su chi avrà il compito di innovare.
Al momento attuale, stampiamo con internet i moduli di autocertificazione, ma poi li compiliamo, li firmiamo a mano e li consegnamo di persona contribuendo ad accumulare tonnellate di carta. In sintesi, le procedure vengono pensate in maniera attuale, realizzate in modo arcaico e la rete è insufficiente, anche in quelle zone dove Telecom ha depositato della fibra per previsione o precauzione futura che non è attualmente sfruttata, per mancanza di competenze. Il Covid, in definitiva, ha evidenziato un problema di arretratezza italiana sul quale dormicchiavamo, ma oggi la soluzione dovrà essere rapida ed efficiente, perché il tema della ripresa economica non può essere solo la riapertura dei vecchi cari ristoranti e bar, o palestre, cinema e piscine, ma anche soprattutto la digitalizzazione delle aziende e del paese.
Vittorio Colao si propone di spingere l’Italia a farcela in cinque anni, è convinto che le nuove risorse servano a dare al Paese una moderna e solida struttura tecnologica. Con il suo curriculum è l’uomo più giusto per un Ministero dell’Innovazione e della transizione digitale, ma l’impresa è davvero difficile. L’Europa si è data un obiettivo di dieci anni, l’Italia si propone di farcela nella metà del tempo e, in più, cinque anni vanno oltre la fine della legislatura e tutti sappiamo che un cambiamento interromperebbe i processi avviati. Ma questo vale per tutte le iniziative che il governo Draghi metterà in cantiere per i prossimi anni con i fondi europei. Il progetto di Colao prevede 5 linee di intervento: connettività, Cloud, dati aperti, sicurezza dei sistemi informatici e competenze umane. Entro il 2026, il 100% delle famiglie e imprese raggiunte dalla banda ultra larga; il 75% della pubblica amministrazione con servizi Cloud; almeno l’80% dei servizi pubblici erogati on line; il 70 % della popolazione digitalmente abile, con un’identità digitale. Programma ambizioso ma necessario. Oggi pensiamo ai vaccini, perché “primum vivere”, poi pensiamo al futuro: digitale si, per tutti.