Si è accesa e propagata attraverso i maggiori social network la polemica per l'apparizione sul sito istituzionale del Senato del logo di "Liberi e uguali", la lista di Sinistra di cui il presidente Pietro Grasso è leader fondatore. Il diretto interessato si è prontamente scusato e attraverso il suo staff ha spiegato che si trattava di un "feed" automatico, ovvero di un meccanismo che fa confluire sul sito istituzionale i contenuti dell'account Twitter personale.
"In passato sono apparsi altri loghi dei partiti, compreso quello del Pd in occasione della festa dell'Unita'", spiega lo staff della seconda carica dello Stato. Per evitare polemiche comunque è stata rimossa dalla pagina la colonnina dei tweet. Non ci sarebbe quindi dolo ma solo una grossa svista di chi si occupa del sito internet di Palazzo Madama. La pagina ufficiale del presidente del Senato (http://www.senato.it/presidente) infatti viene automaticamente alimentata dai tweet di Grasso alcuni dei quali, da quando è stato proclamato leader di Liberi e uguali, sono diventati naturalmente meno istituzionali e più schierati.
La rimozione del tweet e le scuse ufficiali non sono però bastate a chi accusa Grasso di essere un presidente poco super partes. "Lo stile istituzionale di Pietro Grasso? Sull'home page del Senato c'è un tweet del presidente che pubblicizza il simbolo di Liberi e uguali. Cose che potevano capitare nel fascismo, nell'Urss e, di questi tempi, solo in Corea del Nord. Il declino delle istituzioni", ha scritto l'ex senatore di Fi Augusto Minzolini su twitter pubblicando anche lo screenshot della pagina incriminata.
"Lo staff del presidente Grasso ha usato in maniera maldestra Twitter, facendo propaganda elettorale negli spazi istituzionali. Avremmo sinceramente preferito che il presidente mandasse qualche tweet o comunicasse le dimissioni indignate dal Pd quando si manometteva la Costituzione, si approvavano Jobs Act, decreti Minniti, Sblocca Italia. Non ricordiamo tweet di Grasso in difesa della Costituzione o dell'articolo 18": questo, invece, il commento di Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista.