Possono i videogiochi raccontare qualcosa di diverso da una storia fantasy o da un viaggio in un futuro alternativo? Possono diventare, in qualche modo, anche un linguaggio per spiegare il presente, per descrivere il mondo che ci circonda e non un ipotetico universo parallelo? I tempi sono decisamente maturi e non solo per una questione tecnologica, grafica ultrarealistica o realtà virtuale, ma per una maturità che lo strumento videoludico ha raggiunto negli ultimi anni. Sono capaci di raccontare il dramma di un figlio malato di cancro (That Dragon, Cancer) oppure la solitudine della morte (To the Moon) o ancora il dramma della follia mentale e dei manicomi (Town of Light). Sicuramente i modelli più interessanti, in questo senso, arrivano dagli studi indipendenti e l’Italia è in prima fila. Oggi arriva Riot - Civil Unrest, simulatore “di disobbedienza civile” che ha fatto molto parlare di sé fin da quando, nel 2014, Leonard Menchiari, colpito emotivamente dalle proteste NO TAV in Val Di Susa, decise di voler sviluppare un videogioco che permettesse di provare i sentimenti vissuti durante gli scontri, sia da parte dei rivoltosi che da parte delle forze di polizia, tra rabbia, sgomento e determinazione. Adesso il gioco è quasi completo e lo abbiamo provato.
DUE PUNTI DI VISTA PER GLI STESSI SCONTRI Riot – Civil Unrest, nel suo essere socialmente impegnato, porta il giocatore subito nel vivo dell’azione, presentando nella sua modalità principale quattro manifestazioni di inizio decennio: gli scontri di Keratea, le proteste della Primavera Araba in Egitto, i disordini in Val Di Susa e il movimento degli Indignados. Lo scopo, neanche troppo velato, è quello di riuscire a informare non solo dell’esistenza di queste manifestazioni, ma anche dei motivi che hanno spinto certi eventi. Per lo stesso motivo, attraverso una pixel art di qualità, all’inizio di ogni nuovo “stage” trasmette qualche immagine capace di trasmettere sensazioni e tensioni che si potevano probabilmente ritrovare in quelle situazioni.
Gli scontri (inseriti in un gameplay da videogioco tattico in tempo reale) possono essere affrontati sia dal punto di vista dei rivoltosi che da quello delle forze dell’ordine, e sotto questo aspetto la resa effettiva della gestione degli scontri presenta delle differenze considerevoli: le forze dell’ordine dovranno stare molto attente a mantenere il favore politico, a contenere la propria violenza e i danni alle proprietà, e a decidere tatticamente come far sfollare questi gruppi di rivoltosi nel modo più pacifico possibile, laddove invece, dove necessario, i rivoltosi si faranno molti meno scrupoli nell’utilizzare vere e proprie armi come molotov o bombe carta. Il risultato è che le missioni, affrontate da entrambi i versanti degli scontri, risultano molto diverse tra loro, non solo per punti di vista, ma anche per resa ludica.
In questo senso è importante tenere sotto controllo il morale delle proprie truppe (o dei rivoltosi), e sarà facile veder sfuggire dal proprio controllo situazioni che man mano diventano più disperate, con contrasti più accesi, vere e proprie cariche, e persino la fuga di interi gruppi di persone. Impossibile non notare che a volte questa mancanza di controllo diventa talmente eccessiva da risultare frustrante, dando l’impressione che il giocatore, in certe circostanze, possa soltanto stare a guardare. Voluto, forse, ma non il massimo per un videogioco.
QUALCHE PROBLEMINO DI TROPPO Purtroppo quella sensazione di frustrazione si accompagna in generale per una buona parte dell’esperienza di gioco con Riot - Civil Unrest. Partendo dalla mancanza di un tutorial ben definito che eviterebbe di dover capire da sé gran parte delle meccaniche, il problema maggiore sta nella poca chiarezza sia dell’interfaccia che dell’azione vera e propria. La pixel art di Riot è artisticamente eccellente, ma se si sceglie una forma grafica volutamente poco definita, si deve anche riuscire a realizzarla in modo da non creare confusione nelle situazioni più affollate. Ad esempio, il giocatore può far evidenziare in verde per brevi istanti uno dei propri gruppi, ma non può invece far risaltare (magari in un altro colore) i gruppi della fazione rivale. Questo sarebbe estremamente utile, perché è facile, in quella confusione, perdere di vista i propri nemici e sentirsi spaesati.
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E di colpo la confusione regnò sovrana
Problemi simili si possono ritrovare anche nell’interfaccia e nei comandi. Con una tastiera a disposizione, gestire formazioni, abilità e gruppi dovrebbe risultare molto più intuitivo, e la totale mancanza nell’interfaccia di informazioni utili sulla situazione della fazione rivale non aiuta a farsi un’idea effettiva del proprio piano di azione e invece rafforza la sensazione che la maggior parte dell’esecuzione resti quasi fuori dal controllo del giocatore.
Per certi versi sentirsi in confusione può aiutare a vivere le sensazioni di chi si trova realmente in una situazione del genere, ma quando queste sensazioni lasciano il posto a una più cosciente frustrazione generale, allora è probabile che qualcosa non sia andato per il verso giusto. Insomma, a livello di narrazione e immedesimazione, Riot funziona bene, fin troppo. Perché restituisce l’idea della lotta pacifica che si trasforma, per cause varie, in guerriglia urbana, così come, interpretando la polizia, il senso di pericolo, di dover disinnescare una situazione potenzialmente esplosiva senza avere specifiche responsabilità. Ma Riot - Civil Unrest, resta comunque un gioco e il suo obiettivo primario, non scordiamolo, dovrebbe essere divertire. C'è ancora tempo, comunque, per ritoccare le cose: il gioco è ancora in fase di sviluppo, quindi alcune delle dinamiche potrebbero ancora venire migliorate.
Già oggi può essere affrontato anche come una sorta di excursus nei momenti più drammatici delle proteste di piazza degli ultimi anni, come un tuffo nella cronaca, in eventi che saranno consegnati ai libri di scuola. Quello da cui sicuramente Riot, nonostante il nome fin troppo ammiccante, si tiene lontano, sono le polemiche sull’opportunità di un simulatore che permetta di lanciare molotov alla polizia o di manganellare i dimostranti. Nel mondo c’è anche questo e i videogiochi hanno il diritto di raccontare il mondo, esattamente come le altre forme di espressione: musica, cinema, televisione, letteratura. Diritto che Riot esercita, esattamente come i dimostranti che fa scendere in piazza. L’importante è di non abusarne.