Tornando dal viaggio apostolico in Bangladesh, il Papa ha fornito una serie di dettagli sia sui retroscena che sui suoi sentimenti nell'incontro con i rohingya e con il capo dell'esercito del Myanmar. "La parola rohingya l'avevo già pronunciata a Roma, nel viaggio mi interessava che passasse il messaggio, ed è passato, e io - ha detto il Pontefice - non ho negoziato la verità". In un altro passaggio dell'incontro con i giornalisti a bordo del volo che lo ha riportati in Vaticano, Francesco ha raccontato anche che le autorità "volevano cacciarli dal palco alla fine dell'incontro interreligioso a Dacca e volevano che non parlassero con me. Non l'ho permesso. Ho pianto cercando di non farlo vedere".
"Pronunciare parola rohingya è come sbattere in faccia porta a qualcuno" - "Ho considerato che, se nel discorso ufficiale, avessi detto quella parola, sarebbe stato come sbattere la porta in faccia ai miei interlocutori. Allora ho descritto la situazione, ho parlato - ha spiegato il Papa - dei diritti delle minoranze, per permettermi poi nei colloqui privati di andare oltre. Sono rimasto soddisfatto dei colloqui: è vero, non ho avuto il piacere di sbattere la porta in faccia pubblicamente a nessuno, ma ho avuto la soddisfazione di dialogare, di dire la mia".
"Viaggio Cina non in programma ma mi piacerebbe" - Il Papa ha poi parlato anche della Cina. "Il viaggio per ora non è in programma", anche gli "piacerebbe", ha confidato ai giornalisti in volo con lui verso l'Italia, di compiere questa visita. Ha anche poi spiegato che il viaggio in India, che voleva fare quest'anno, è stato rimandato perché l'India va visitata da sola. Comunque il cambio programma e inserimento del Myanmar è stato "provvidenziale".