L'Italia è conosciuta per il triste primato di essere uno tra gli Stati con il maggior numero di processi pendenti. Sveltire la macchina burocratica è pertanto uno degli obbiettivi che il governo deve perseguire. Un miglioramento in questa direzione sembra arrivare dal mondo del lavoro. Dal 2012 ad oggi, infatti, c'è stato un drastico calo delle cause per licenziamento sul lavoro: meno 70% di ricorsi secondo i dati del ministero del Lavoro.
Un fenomeno che riguarda sia il settore pubblico che privato. Per i "licenziamenti disciplinari", ad esempio, si è passati dai circa 3665 ricorsi del 2012 ai 479 del primo semestre del 2017. Quelli per "giustificato motivo oggettivo", invece, sono scesi da 7535 a 1493 e infine quelli "per giusta causa" da 5641 a 1263. Diminutiti anche i contenziosi per il lavoro a tempo determinato: dagli oltre 8000 casi del 2012 ai 490 registrati nei primi sei mesi del 2017.
Con le nuove regole il giudice ha dei limiti ben precisi in merito al reintegro del lavoratore, che può ottenere un indennizzo massimo compreso tra le dodici e le ventiquattro mensilità di stipendio, nel caso di sentenza a suo favore. Il crollo dei processi sembra perciò dovuto a un aumento del numero d'accordi raggiunto tra le parti in causa.
"Le nuove norme più chiare e sicure - spiegano i giuristi - hanno chiarito le diverse tipologie contrattuali e ridotto gli spazi interpretativi dei giudici favorendo gli accordi tra le parti in causa senza arrivare al processo". Una condotta virtuosa che avvicina l'Italia agli altri Stati Europei.