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Videogiochi: al via una campagna mondiale per preservare la storia di arcade e sale giochi

L’iniziativa è partita da alcuni musei per videogiochi durante il Covid-19, e mira alla sensibilizzazione e all’intrattenimento di centinaia di giocatori nostalgici

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Spazi affollati, rombi di motore, il suono delle monete negli slot. Il Covid-19 ha fatto sembrare le sale giochi ancora più lontane nello spazio e nel tempo di quanto il loro generale declino le avesse già rese. Ma mentre la necessità di preservare la storia degli arcade rimane urgente, i musei che la conducono hanno dato vita a un’iniziativa che si oppone all’enorme crisi causata dalla pandemia.

L’idea è stata di Team 17, sviluppatore ed editore di videogiochi britannico con sede a Wakefield, in Inghilterra. Il team, noto al grande pubblico principalmente per aver dato i natali alla serie Worms, è intervenuto per lanciare una campagna di raccolta fondi per i programmi di conservazione degli arcade in tre importanti musei a tema: The Strong a Rochester (New York), il National Videogame Museum a Sheffield e il Museo del Videojuego Arcade Vintage ad Alicante (Spagna).

Chiamata Saving The Arcade World, la campagna donerà una parte dei primi due mesi di vendite del gioco d'azione in pixel-art Narita Boy di Studio Koba, che Team 17 ha lanciato lo scorso marzo, così come i diritti di pubblicazione di uno dei brani musicali del gioco, nonché le vendite di un cabinato arcade.

Le sale giochi sono una parte indelebile e vitale della storia videoludica. "Come museo a tema, collezioniamo videogiochi perché hanno avuto un impatto sul gioco" ha affermato Jon-Paul Dyson, vice presidente del museo The Strong. "Le sale giochi sono arrivate in un momento importante nella crescita dei videogiochi, soprattutto negli anni '70 e nei primi anni '80. Erano il modo principale in cui la gente sperimentava i videogiochi e con essi si potevano fare cose inaccessibili ai sistemi domestici".

Ma con l'avanzare del tempo è sorto il problema del deterioramento di numerose macchine arcade che sta raggiungendo livelli critici. Tutti i musei stanno dunque affrontando la sfida di tenerle in funzione. La manutenzione richiede infatti conoscenze in diversi campi, dall’elettronica al vero e proprio bricolage, per cui ogni fase richiede decisioni difficili, poiché i musei bilanciano la necessità di mantenere le macchine abbastanza affidabili per l'uso pubblico unita alla conservazione dell'autenticità dell'hardware originale.

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Obiettivo primario è donare ai visitatori un'esperienza realistica della sala giochi. I giocatori, al loro ingresso, vengono infatti catapultati nell’atmosfera tipica del tempo attraverso la musica retrò e possono assaporare i grandi classici videoludici attraverso una lente nostalgica. "C'è una magia nell'originale", dice ancora Dyson. "Essere in grado di toccare con mano e giocare diventa profondamente significativo per le persone. Possiede un significato tanto ineffabile che nessun emulatore domestico potrà mai avere".

Il National Videogame Museum è attualmente coinvolto in un progetto di ricerca sulla registrazione dei suoni da sala giochi, che prevede lo sviluppo di una biblioteca contenente storie tramandate oralmente e ribattezzata VHS Tapes, la quale si affida a emulatori per esposizioni tematiche, come una sulle fasi bonus in cui uno specifico salvataggio permette ai visitatori l'accesso immediato all'iconica sequenza di distruzione delle auto a suon di pugni in Street Fighter II.

Il museo di Sheffield sta anche pensando a come sviluppare pratiche di conservazione con la creazione di una comunità di ricercatori, accademici, curatori e collezionisti di videogiochi, per formulare e aiutare a diffondere una guida valida a livello internazionale. Molti piani, di fronte ad una seria minaccia, dato che molti dei dipendenti del NVM sono stati messi in aspettativa a causa della pandemia, e hanno dovuto deviare le proprie forze dalla raccolta fondi, per cui sono state già devolute circa 200mila sterline, donate da individui e da aziende tra cui Rockstar, Jagex e lo studio locale Boneloaf.

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