"La tua bici è troppo bella, l’hai rubata". E' l’accusa rivolta da tre agenti di polizia a un diciannovenne senegalese alla stazione Porta Nuova di Torino. Dopo gli accertamenti, il giovane è stato lasciato andare. Ma il veicolo continua ad attirare l’attenzione e i pregiudizi dei passanti. "Deve girare con lo scontrino", ha denunciato la coppia che ospita il ragazzo.
Accusato di furto - Come riporta il quotidiano La Stampa, il giovane è arrivato in Italia tre anni fa come "minore non accompagnato". Per lui integrarsi è stato facile: una coppia lo ha accolto, presto ha trovato un impiego a Torino. Ed è proprio per raggiungere il posto di lavoro che la sua "famiglia adottiva" ha deciso di regalargli una bicicletta nuova fiammante. Ma ogni volta che sale sul treno, insieme alla sua bici, il veicolo attira l’attenzione degli altri viaggiatori. Sembra impossibile che uno come lui, un migrante, possa disporre di un mezzo così costoso. E subito scatta il pregiudizio razzista: la bicicletta non è sua, dev’essere rubata. Ci sono cascati perfino tre agenti di polizia, in servizio alla stazione Porta Nuova. "Mi hanno preso la bici e bloccato le braccia", ha raccontato il ragazzo. "Mi hanno detto: di chi è? Non è tua. Di fronte a tutti mi hanno trattato come se avessi ammazzato qualcuno".
Pregiudizio razzista - L’episodio, come denuncia la donna che ospita il diciannovenne, non è isolato. "Qualche tempo fa, mentre era in treno, un ragazzo bianco è passato e gli ha preso la bici dicendogli: ma è tua? Pensavo fosse abbandonata". Altro viaggio, altra accusa: "Questa bici è di un mio collega, gliel’hanno rubata ieri. Ora lo chiamo perché venga a vederla". E così, per evitare di passare per "ladro di biciclette", il giovane è costretto a girare con lo scontrino in tasca. Le precauzioni, però, non risolvono il problema di fondo. "Il pregiudizio non può arrivare al punto che un ragazzo con la pelle nera non possa avere una bella bici e che non possa mettersi a correre per prendere il treno", ha ribadito la signora. E anche il giovane senegalese, nonostante il lavoro e tre anni di permanenza in Italia, non crede di potersi scrollare di dosso lo stigma. "La coppia che mi ospita mi tratta come un figlio - ha detto - ma io resterò nero tutta la vita".