Mafia Capitale, giudici: "Gruppo inquinò le scelte politiche e l'azione della p.a."
Pubblicate le motivazioni della sentenza che ha condannato 41 persone e ne ha assolte 5. I fatti contestati sono gravi, ma manca l'impiego del metodo mafioso: solo intese corruttive
"Nel settore degli appalti pubblici, l'associazione ha avuto la capacità di inquinare durevolmente e pesantemente, con metodi corruttivi diffusi, le scelte politiche e l'azione della pubblica amministrazione". Lo scrivono i giudici nella sentenza del processo "Mafia Capitale". "Non vi è dubbio - si legge - che i fatti accertati siano di estrema gravità, per il loro numero, per essere stati realizzati in forma associata e per la durata".
Non c'è stato il metodo mafioso - È impossibile, aggiunge il Tribunale in riferimento agli affari di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, "attribuire mafiosità all'associazione volta al conseguimento illecito di appalti pubblici mediante intese corruttive: ai fini del reato di cui all'art. 416 bis c.p. è necessario l'impiego del metodo mafioso e, dunque, il reato non si configura quando il risultato illecito sia conseguito con il ricorso sistematico alla corruzione, anche se inserita nel contesto di cordate politico-affaristiche ed anche ove queste si rivelino particolarmente pericolose perché capaci di infiltrazioni stabili nella sfera politico-economica".
Da Buzzi incessante accaparramento - "Il ruolo di Buzzi, quale capo di detta associazione, si desume dall'esame dell'intera vicenda, che lo vede sempre impegnato in prima persona, e con ruolo decisamente centrale, nella incessante attività di accaparramento di appalti pubblici, attraverso la rete di conoscenze e contatti da lui abilmente coltivata". Così scrivono i giudici in merito al cosiddetto "ras delle cooperative" condannato a 19 anni di reclusione.
"La lunga esperienza maturata da Buzzi nel settore della cooperazione sociale e gli stessi contatti, con politici ed amministrativi - si aggiunge - costruiti nel tempo in relazione all'attività delle cooperative, sono stati da lui sapientemente utilizzati e sfruttati per la commissione di reati finalizzati - consentendo una innaturale espansione sul mercato - a potenziare i profitti delle cooperative e dei soggetti che di esse avevano la direzione e la gestione".
Insomma "il dato appare ancor più grave ove si tenga conto del percorso di Buzzi, che pure aveva tentato di recuperare il suo passato criminale, e della conoscenza di tale percorso che avevano i suoi collaboratori e sodali, conoscenza che avrebbe dovuto indurrre a salvaguardare l'esperienza della creazione di cooperative sociali finalizzate al recupero di ex detenuti e non a orientarle verso la commissione di reati gravi, e commessi in forma associata".
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