Il giudice di Monza ha condannato l'ospedale di Desio a pagare oltre 180mila euro alla figlia di un uomo morto per un'infezione a 16 mesi dalla sostituzione del pacemaker. Gli furono lasciati dei cateteri e un perito attribuisce "con sicurezza" la morte all'infezione contratta durante l'intervento e a "un ritardo nella diagnosi", sottolineando che "l'abbandono dei cateteri" ha "registrato un'elevata incidenza in termini di recidive e di mortalità".
Il magistrato non si è trovato d'accordo con il consulente nell'attribuire le cause del decesso al medico curante e ha condannato l'azienda ospedaliera di Desio. "E' un onere" del nosocomio provare "di aver eseguito l'intervento a regola d'arte e che l'infezione in sede cardiaca si sia verificata per un evento imprevedibile e inevitabile e non per un'omissione di una attività cui era tenuta", ha spiegato il giudice.
La responsabilità è dell'ospedale - Tra gli elementi di responsabilità, è stata evidenziata "una precisa scelta medica, considerata non adeguata al caso concreto dal Ctu (consulente tecnico d'ufficio, ndr)". Gli elettrocateteri propri del primo generatore vennero lasciati in situ e in cartella clinica non è riportata alcuna annotazione che faccia rilevare l'eventuale valutazione di un maggior rischio dell'espianto rispetto alla bonifica.
L'uomo "era diabetico: condizione che, determinando sia uno stato di uno immuno-depressione relativa del paziente sia la necessità di effettuare perforazioni della pelle, che costituiscono possibili vie di accesso di agenti patogeni, ha costituito un fattore di aumento del rischio di infezioni". "Sarebbe stato più conforme alle regole d'arte che, in presenza di soggetto ad elevato rischio di infezioni - conclude il giudice - l'ospedale avesse rimosso l'ulteriore fattore di rischio con la rimozione dei cateteri"