È vero, non bisognerebbe ancora una volta a finire a parlare dell’età e del Tempo. C'è la musica, innanzitutto, e poi c’è il significato, il simbolo, c'è la gente felice a decine di migliaia. Eppure, fuori dell'ennesima e presunta ultima puntata dei Rolling Stones emerge l’apparente fenomeno del rock ai confini della quarta età, e il fenomeno dentro il fenomeno, che ha un nome e un cognome, Mick Jagger.
Godendosi il concerto di Lucca, riempendosi occhi orecchie e cuore, il fan incallito e conoscitore dei suoni delle Pietre non ha potuto non notare qualche crepa, qualche rallentamento, piccole aritmie subito corrette con ipercollaudato mestiere. Quasi tutte erano targate Keith Richards. Il suo dirimpettaio di una vita sul palco, invece, nisba. Come se niente fosse. Anzi, i 74 anni che dovrebbe (a questo punto meglio usare il condizionale) contare hanno migliorato la sua performance fino alla perfezione: lo jogging da palco degli anni 80 e 90 non si può più fare, deo gratias, e Mick ha modulato nel suo secondo millennio la sua parte in un perfetto cocktail con i due ingredienti della casa: il canto, con una voce ancora potente, variegata, e il ballo, il gesto, le espressioni.
“Moves like Jagger" , i Maroon 5 non temano, il pezzo è sempre di attualità. Sotto le Mura cinquecentesche della Toscana, Jagger ha dimostrato di essere il muro portante della sua creatura, non sbagliando nulla, crescendo alla distanza come un maratoneta esperto, spazzando via qualsiasi possibile e stupida ironia in una tripletta di numeri (“Miss You”, la cavalcata blues di “Midnight Rambler", “Street Fighting Man") in cui davvero si poteva avere la sensazione di trovarsi in uno spazio strano, fuori, extratemporale. Molte volte ci si è chiesto perché, con un posto già di assoluto rilievo nella storia della musica leggera e della cultura popolare, con conti in banca che è meglio non immaginare, i Rolling Stones insistano, e insistendo rischiano, perché su un palco non si bluffa, non c'è tecnologia che tenga.
La risposta, forse, è Mick Jagger. Che c'è, esiste, si è amministrato da perfetto manager di se stesso, si è costruito con esperienza e immenso talento uno show ancora possibile, credibile, uno show dei Rolling Stones. Lui vuole esserci, gli altri seguono, chissà se per amore o per forza, certo stare là sopra lì tiene ancora vivi. A Lucca, la nemmeno troppo velata sensazione che il tempo (reale) non sia più così dalla loro parte c'era, inutile negarlo: però se Mick chiama, Keith deve rispondere, gli altri seguono, come sempre, fino a quello che sarà un naturale e – forse – prossimo esaurimento.
Ma consigliati da troppi frettolosi e sbagliati cattivi pensieri, meglio evitare commiati, titoli di coda. Diciamo solo che la quota al totalizzatore di un altro grande rito Stones in Italia si è fisiologicamente alzata: ma contro questi pezzi di pietra dura e preziosa, e contro Mick Jagger scommettere e assai pericoloso. “Alla faccia di chi ci vuole male”, ha detto Keith in italiano salutando i fan adoranti. Ecco