Usa

Zuckerberg scrive a Trump: “Non rimpatriamo gli immigrati, sono una risorsa”

Con 300 manager americani tra cui Jeff Bezos di Amazon e Tim Cook di Apple, l’ad di Facebook chiede al presidente di non annullare il Daca, piano voluto da Obama per difendere i giovani lavoratori senza permesso di soggiorno

© -afp

Preservare i diritti di chi è emigrato illegalmente negli Usa da bambino. In una lettera aperta indirizzata  al presidente Trump, Mark Zurckerberg, Jeff Bezos e altri 300 top manager americani si schierano a favore del Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals) e chiedono all’amministrazione di non sopprimerlo. Il programma, che è stato creato nel 2012 da Obama, consente a 800 mila persone di lavorare e studiare sul suolo Usa senza il rischio di essere rimpatriate.

Preoccupati per la brutta piega presa dalle recenti politiche sull’immigrazione, alcuni tra gli imprenditori più importanti d'America hanno preso carta e penna con l'obiettivo di spiegare al presidente l’importanza dei “Dreamers” (sognatori, così vengono definiti questi immigrati). Certamente “essenziali per il futuro delle nostre aziende e della nostra economia”, i Dreamers, che sono arrivati nel paese da piccoli e senza permesso di soggiorno, non solo pagano tasse e contributi come normali cittadini, ma rappresentano una risorsa unica che, se rimpatriata, “farebbe perdere al Pil oltre 460 miliardi di dollari”. Sempre nella lettera viene infatti stimato che su 780 mila aderenti al Daca, il 97% lavora o studia, il 65% ha acquistato un’auto e il 16% la prima casa: “grazie a loro cresciamo e creiamo posti di lavoro, continuando a essere competitivi sul piano globale”, concludono i manager.
 
Tra i firmatari del messaggio, oltre al numero uno di Facebook Zurckerberg e all’ad di Amazon Bezos, nomi di spicco del panorama tecnologico made in Usa, come Tim Cook di Apple, Satya Nadella di Microsoft e Sundar Pichai di Google: tutti insieme, uniti, affinchè The Donald non mantenga la promessa fatta in campagna elettorale e cioè non sopprima il Daca e, con esso, il “72% della forza lavoro impiegata nelle prime 25 aziende classificate da Fortune”.