Che se ne farà ora di tutti quei soldi Geely? 650 milioni di dollari di utili nel solo primo semestre dellʼanno, e fatturati che raddoppiano. Vuoi vedere che vorrà spenderli con qualche acquisizione di rilievo? Lʼhanno già fatto con Volvo del resto, lasciando sviluppo e progettazione in Svezia (ma la produzione man mano sta finendo in Cina), e lo scorso maggio con Lotus, inglese solo di bandiera perché da anni in mani malesi. Forse è vero che guardano al gruppo FCA come nuova, possibile preda.
Piaccia o non piaccia a Trump, che non vuole i cinesi proprietari dellʼamericanissima Chrysler, lʼaffare sembra concreto. A Marchionne, invece, “aprirsi” a nuovi scenari non dispiacerebbe affatto e dʼaltronde già tanti costruttori auto occidentali intrattengono rapporti e affari con la Geely Automobile Holdings. Una holding appunto, nata 30 anni fa per sviluppare il business dellʼauto nel Paese della Grande Muraglia. Il patron Li Shufu le risorse le avrebbe, da inizio anno a oggi il titolo quotato alla Borsa di Hong Kong è salito del 157%, ma prima vuole avere il campo libero dalle polemiche politiche, perché i matrimoni, per riuscire, hanno bisogno del consenso di tutti. Fu così con Volvo, col governo di Stoccolma che per salvare lʼazienda simbolo dellʼauto svedese, dopo il fallimento della gestione Ford, avallò il passaggio verso la proprietà cinese.
A dire il vero fece la stessa cosa Marchionne allʼepoca della fusione tra Fiat e Chrysler. Cercò e ottenne lʼavallo del Presidente Obama (e le lettere di ringraziamento allʼallora capo della Casa Bianca sono lì ad attestarlo) e creò un colosso che si muove oggi con nonchalance tra le due sponde dellʼAtlantico. Oggi Marchionne si trova davanti al bivio del futuro del gruppo FCA, a 18 mesi dalla fine del suo mandato al vertice. Voleva allearsi con Volkswagen ma i tedeschi hanno eretto barricate ostili; ha strizzato lʼocchio al vecchio alleato General Motors, ma questi ha fatto spallucce e, anzi, ha ceduto Opel ai francesi di PSA. Il rischio è che da colosso FCA passi a nanetto nel giro di un lustro!
Le domande però sorgono numerose. Che ci farebbero i marchi Maserati, Ferrari, Alfa Romeo sotto la gestione di Geely? E quelli americani di Chrysler, Dodge, Jeep, che vendono decine di milioni di modelli in Nord America e tengono alta la bandiera dellʼauto “made in Michigan”? Logica vorrebbe che restassero il più possibile indipendenti, con un proprietario che sʼingerisca poco nelle strategie dei singoli brand, ma si sa che chi mette i soldi qualcosa vuole pure contare…