"Ho visto pochi migranti in pericolo di vita, non abbiamo mai salvato qualcuno che stesse morendo in mare: sembrava più una gara a chi arrivava prima". Ha gli effetti di una bomba l'intervista rilasciata a Quotidiano Nazionale Qn da un addetto alla sicurezza impiegato su Vos Hestia, una nave di Save the Children, che vuole mantenere l'anonimato. "Una volta abbiamo preso un battello con gente in buone condizioni -racconta. - A dieci minuti dalla costa libica, non in alto mare. Sono evidenti i rapporti tra scafisti e molte organizzazioni. Non importa a nessuno dei migranti, è un business".
"Per me un problema di coscienza" "Forse qualche Ong è animata davvero da spirito umanitario. Ma questo discorso di andare sulle coste libiche non sta né in cielo né in terra. Su migliaia di persone soccorse forse solo il 20-25% era meritevole di aiuto", prosegue l'anonimo testimone nell'intervista-shock a Qn. "Abbiamo caricato giovani magrebini che erano stati espulsi dall'Italia. Ma dico io, chi abbiamo portato in Italia? Non abbiamo portato i siriani disperati o quelli del Mali che scappano dalla fame. Per me è stato personalmente anche un problema di coscienza".
L'accusa: "Dei migranti, alle Ong, non gliene frega un cavolo" "Spesso è lo scafista che dà la posizione con il telefono satellitare, - continua l'anonimo - Quando si trova un gommone con decine di persone a bordo sembra quasi che si siano dati appuntamento...". "Mi sentivo un po' complice di un'attività vergognosa. Con Save the Children c'erano scontri anche perché non potevo riferire nulla alle autorità di porto o di polizia". "Sono stato 30 anni in polizia, - prosegue l'uomo, - so come vanno le cose: bisogna sempre seguire la pista dei soldi. Io vorrei capire: il ministero dell'Interno quanti soldi ha dato a Save the Chldren? A bordo mi hanno detto che sono operazioni da mezzo milione al mese, 6 milioni l'anno". "Dei migranti, alle Ong, non gliene frega un cavolo - sostiene -, è solamente un business del momento".
I ricordi della "gola profonda" "Ricordo che avevamo una mediatrice culturale inglese brava, parlava arabo. A un certo punto sbarca e al suo posto arriva un ragazzo italo-eritreo. Guarda caso... due giorni dopo che si fa? Si becca un barcone di eritrei. E fu il team leader di Stc a dare al comandante l’esatta posizione del barcone". Poi l'accusa alle Ong di fare a gara a chi arriva prima: "Per me aveva un atteggiamento strano Iuventa, troppo piccola. Si capiva che faceva da appoggio. Una volta eravamo in Libia con altre Ong, ma non si vedevano gommoni. Poi un giorno chiama Iuventa e dice ‘abbiamo 400 persone a bordo’. Ma noi in cinque giorni non avevamo visto nessuno! E poi, se carichi tutte quella gente, mi dici dove stanno i battelli che hanno usato? Allora vuol dire che glieli hanno portati gli scafisti".