TESTIMONE DI GIUSTIZIA

Rita Atria, 25 anni fa moriva la "picciridda" di Borsellino

Testimone di giustizia e figlia di una famiglia mafiosa di Partanna, si suicidò a 17 anni una settimana dopo la strage di via D'Amelio

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Si uccise a 17 anni una settimana dopo la strage di via D'Amelio perché non riusciva a sopportare la scomparsa del giudice Paolo Borsellino. Sono passati 25 anni da quel 26 luglio 1992, in cui Rita Atria si lanciò dal settimo piano di un palazzo di Roma, dove viveva in segreto dopo aver cominciato a collaborare con i magistrati nella lotta contro la mafia. Figlia di una famiglia mafiosa di Partanna (Trapani), Rita decise di diventare testimone di giustizia dopo gli omicidi del padre Vito e del fratello Nicola. Il suo rapporto con Borsellino andava oltre la collaborazione: nel giudice la giovane trovò un secondo padre.

"Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita... Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c' è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta". Scriveva questo sul suo diario la "picciridda" del giudice palermitano, il giorno della strage del 19 luglio compiuta da Cosa Nostra.

Quando, nel giugno 1991, il fratello Nicola Atria venne ucciso e la moglie Piera Aiello (cognata di Rita, ndr) denunciò i due assassini collaborando con la polizia, in Rita scatta qualcosa. Quella sete tremenda di giustizia, che la porterà a essere considerata da molti un'eroina, si concretizzò in una serie di deposizioni che contribuirono all'arresto di numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala. Grazie alla ragazza siciliana, gli inquirenti riuscirono inoltre ad avviare un'indagine sull'onorevole democristiano Vincenzino Culicchia, per trent'anni sindaco di Partanna.

Quella stessa sete di giustizia comportò prove terribili per Rita Atria, che venne ripudiata dalla madre (la quale distrusse anche la lapide della figlia dopo la sua morte). "Rituzza", come la chiamava Borsellino, cambia e cresce accanto al magistrato. Lui, assieme alla moglie Agnese, la ricopre di regali e di affetto. Poi la strage, e quindi la tragedia. Oggi la lapide con il nome di Rita Atria è stata rimessa al suo posto. Per ricordare. Sempre.