Nel suo ultimo resoconto, intitolato Conto Ap, reddito famiglie, profitti società, l’Istat indicava una pressione fiscale pari al 38,9% nel primo trimestre. Un dato in crescita dello 0,3% rispetto allo stesso periodo di un anno fa, ma in forte calo rispetto alle rilevazioni del quarto trimestre del 2016, quando si attestava al 49,7%.
Quello congiunturale sembrerebbe un buon risultato, ma se si osservano le serie storiche si può notare che si tratta di un fatto, per così dire, fisiologico. Tutti gli anni osservabili nelle tabelle dell’Istituto di statistica mostrano infatti una forte contrazione della pressione fiscale tra l’ultimo trimestre e il primo dell’anno successivo per poi aumentare nel resto dell’anno. Anche tra il 2015 ed il 2016 successe la stessa cosa: negli ultimi tre mesi del 2015, infatti, la pressione fiscale in Italia si attestava al 50,2%, mentre alla fine del primo trimestre del 2016 si registrò un calo al 38,6%. Nel corso dei trimestri successivi riprese però a crescere, toccando il 42,1% nel secondo, il 40,8% nel terzo e il 49,7% nel quarto.
Va da sé che per tenere traccia dell’andamento della pressione fiscale in Italia è opportuno osservare la media annua. Nel 2016 la pressione fiscale è stata pari al 42,8% e potrebbe scendere, secondo alcune stime, al 42,3% alla fine del 2017 (anche se i presupposti, visto l’aumento tendenziale registrato nel primo trimestre, non sono dei migliori), rimanendo comunque piuttosto lontano sia dalla media europea (40% nell’Ue e 41,4% nell’Eurozona) che dai livelli pre-crisi (41,5%).
Eppure i vantaggi di una riduzione della pressione fiscale - essendo il “rapporto tra la somma di imposte dirette, imposte indirette, imposte in c/capitale e contributi sociali e il Prodotto interno lordo” - sarebbero notevoli sia per le famiglie che per le imprese. Se nel corso del 2017 dovesse verificarsi il calo previsto - al 42,3% - le famiglie potrebbero risparmiare 2,9 miliardi di euro e le imprese 4,5 miliardi.