One More è una cintura rivoluzionaria, espressione dell’alta professionalità di abili artigiani e dell’eccellenza del Made in Italy. Questa intuizione, semplice eppure geniale, nasce dalla mente brillante della famiglia Capuozzo. Papà Antonio ed i figli Salvatore, Mario, Annamaria e Antonio, rilegatori e pellettieri napoletani con alle spalle oltre cinquant’anni di storia artigiana, dopo essersi trasferiti in Toscana, nel 2004 hanno dato vita, a Lucca, all’Officina della Pelle. Nel giro di soli sette anni hanno aperto tre punti vendita di successo e lanciato sul mercato l’innovativa cintura con il buco in più!
L’idea è nata dal rapporto personale e quotidiano con una clientela esigente, che chiedeva di confezionare un nuovo modello di borsa, di sostituire una fodera già esistente, di inserire delle tasche, di riparare una cucitura ormai disfatta e, molto spesso, di aggiungere un buco alla vecchia cintura oppure a quella appena acquistata.
Per non rovinare il pellame, introducendo ogni volta un nuovo foro, i signori Capuozzo hanno pensato ad una cintura che può essere allargata o ristretta a piacimento sin dall’origine.
Una vera e propria rivoluzione nel settore: nove buchi invece di cinque, a distanza molto ravvicinata, per garantire il massimo comfort a chi la indossa. Modelli sia per uomo che per donna, adatti ad ogni taglia, realizzati esclusivamente con pelli naturali di massimo pregio.
Salvatore Capuozzo, insieme al padre e ai due fratelli, ispirato dal motto: “Sono le cose difficili o insolite che vanno fatte. Soprattutto quelle e non le altre”, è riuscito a realizzare il proprio sogno, mandando avanti con impegno e determinazione l’attività di famiglia e vincendo la propria scommessa personale, che lo ha portato a trasferirsi nella cittadina toscana.
Salvatore, com'è nata la tua passione per la pelletteria? Possiamo parlare dell'arte della lavorazione artigianale della pelle come di una storia di famiglia?
Le mie radici, sia anagrafiche che professionali, sono napoletane. Papà rilegava libri in una bottega di Vico San Domenico Maggiore. I suoi principali clienti erano i bibliofili, gli antiquari e la Biblioteca Nazionale. Io e i miei fratelli, sin da piccoli, spinti da nostra madre che non voleva che trascorressimo le giornate per strada, passavamo il pomeriggio in laboratorio a giocare con i ritagli della pelle oppure a disegnare su pezzi di cartone. E così, per gioco, abbiamo iniziato a realizzare dei libricini con le pagine bianche.
Anni dopo, gli stessi libri in formato mignon sono entrati a far parte del catalogo dell’Officina della Pelle.
Per quale ragione tu e la tua famiglia avete deciso di abbandonare la terra natale per trasferirvi a Lucca? Quali aspetti positivi o eventuali difficoltà avete incontrato nella città toscana?
Io sono stato il primo a partire. Avevo bisogno di confrontarmi con altre esperienze, di cambiare aria, come si dice, e poi avvertivo l’esigenza di avvicinarmi alla Toscana, dove già mi recavo almeno due volte all’anno per la selezione dei pellami. Dopo aver girato diverse città, sono rimasto folgorato da Lucca, fino al punto di sposare una lucchese, anche se di origini venete.
Oltre ai tesori artistici ed alla sua dimensione raccolta, Lucca offre la possibilità di lavorare con un pubblico che ama le cose belle e di entrare a contatto con un turismo colto, pronto a spendere per qualcosa di diverso, come ad esempio delle borse su misura. È stimolante poter realizzare da zero, con le nostre mani, i desideri dei clienti.
Una delle difficoltà iniziali è stata forse doversi misurare con il carattere riservato e un po’ diffidente dei lucchesi, certamente meno espansivi dei napoletani. La fiducia però si conquista mostrando serietà e coerenza, nella vita come nel lavoro.
Quando e com'è nata l'idea rivoluzionaria di One More, la cintura con il buco in più? Quali sono i punti di forza e le caratteristiche essenziali di questa vostra invenzione?
L’idea ha cominciato a prendere forma due anni fa, la produzione invece è stata avviata con successo ormai da un anno. One More è la risposta ad un’esigenza semplice, immediata, ma non banale. Nel nostro lavoro capita spesso che ci venga richiesto di aggiungere un buco alla cintura. Da sempre, infatti, le cinture hanno cinque buchi a distanza di due centimetri l’uno dall’altro. Non è una soluzione comoda, perché è difficile ingrassare o dimagrire di due centimetri in due centimetri. Il dispiacere di rovinare il prodotto appena acquistato, ci ha spinti a passare da cinque a nove buchi, posti a sette millimetri l’uno dall’altro. Grazie a questa intuizione, la cintura si adatta non solo alla taglia della persona, ma può anche essere regolata nell’arco della stessa giornata, a seconda delle esigenze.
Oltre a questa particolare caratteristica dei buchi, abbiamo disegnato una punta a scalpello che scivola più facilmente nel passante, utilizziamo fibbie di vari modelli in ottone pieno e nickel free, pelli tinte con tannini vegetali, derivati dalla corteccia degli alberi, e termoviranti, capaci cioè di riassorbire qualsiasi graffio, strofinandole semplicemente con un panno. Il logo identificativo è impresso a caldo sul primo passante. Sono previste tre diverse larghezze unisex: tre, tre e mezzo e quattro centimetri.
© ufficio-stampa
Cosa significa per voi artigianalità e cura del particolare?
Per me, come per i miei fratelli, essere artigiani significa fare le cose bene, con passione e attenzione al dettaglio, pur trattandosi di un’impresa difficile. Si sente spesso dire che il difetto è garanzia e testimonianza di un prodotto realizzato a mano. In realtà dovrebbe essere esattamente il contrario.
Inoltre, chi lavora con le proprie mani ha il privilegio di poter dare vita ad un pezzo unico, come fosse una piccola opera d’arte, disegnando e realizzando qualcosa di assolutamente originale. È stato così, ad esempio, per la borsa degli spartiti di un direttore d’orchestra, per quella di un fotografo-acquarellista o di un portiere di una squadra di calcetto, che ci aveva commissionato una borsa per gli scarpini. I dettagli non sono soltanto la differenza che si nota, ma soprattutto quella che resta.
Qual è il vostro successo più grande?
Continuare a lavorare insieme, sempre con piacere.
Quali sono i vostri interessi nel tempo libero?
A me piacciono molto la pittura ed il disegno, avendo studiato all’Accademia d’Arte, passioni che ho riversato nel lavoro. E poi nutro un piacere speciale per il buon cibo. Sedermi in un ristorante ed assaporate una certa cucina di livello mi rilassa e mi diverte.
La vera passione di Mario, invece, è la tecnologia applicata; se gli parlate di qualunque ultima novità del settore, ne è senz’altro al corrente o, ancora più probabilmente, già la possiede! Annamaria si muove su un piano completamente diverso: a lei piace la moda, un mondo parallelo alla nostra professione artigiana.
Desideri per il futuro?
Crescere rimanendo artigiani, a contatto con la materia prima, la progettazione e la produzione. Poi, sognando veramente in grande, mi piacerebbe dar vita ad una scuola di lavorazione della pelle e magari, perché no, aprire un negozio a New York!