SGT. PEPPER E LA STORIA

1 giugno 1967: A Day In The Life... che cambiò il mondo

Sembrava un tranquillo giovedì come tanti, con vista sull'estate. E invece...

di Andrea Saronni

© -afp

I read the news today, oh boy. I giornali del 1° giugno 1967, giovedì con vista sull'estate, non sono poi così speciali. Venti di guerra in Medio Oriente, Egitto e paesi arabi contro Israele, il nuovo ministro della Difesa ebreo Moshe Dayan che si presenta ai generali e dice: "Datemi il vostro piano, se ne avete uno. Io ce l'ho". In Italia, la solita politica e un giorno speciale per il calcio, visto che si giocano i recuperi dell'ultima giornata, Inter e Juventus in campo contro Mantova e Lazio, in ballo lo scudetto. Papera del portiere nerazzurro Sarti, incredibile sorpasso bianconero. Tutto come di consueto, insomma.

Non sembra un giorno buono per cambiare il mondo, e invece. In sottofondo c'è un rumore crescente, un'orchestra che accorda i suoi strumenti. Poi aprono i negozi, anche quelli di dischi, si accendono le radio. E bum, parte Sergeant Pepper's. Riecco i Beatles, fuggiti dalla follia delle tournée, chiusi negli studi di Abbey Road da novembre e riemersi tramite un disco che ipnotizza già dalla copertina, loro in coloratissimi completi di raso da orchestrali e intorno i cuori solitari da essi scelti, da Marilyn a Brando, da Shirley Temple (che intenterà un'azione legale) a Bob Dylan.

Non può essere "solo" un nuovo album, la solita raccolta di canzoni - fantastiche, per carità - da due o tre minuti as usual fino a raggiungimento del tempo necessario: si capisce subito che è qualcosa di diverso, è una sorta di Costituzione di una intera generazione che già da anni bolle nella pentola delle rivoluzioni giovanili e che sta convergendo, in quel periodo, nella nuova cultura delle liberazioni, fossero esse di costume, sessuali, politiche, emozionali, qui con un chiaro link alla scoperta e all'uso delle droghe psichedeliche. Una vibrazione che molti nel rock e nel pop hanno colto, ma che nessuno è ancora riuscito a tradurre in suoni, in immagini e immaginario. Ancora una volta arrivano primi loro, i Beatles, soprattutto McCartney, che è il direttore concettuale di un'opera che perde in partenza due cose gigantesche quali "Strawberry Fields Forever" e "Penny Lane", requisiti dalla Emi bisognosa di un singolo e irritata per le lungaggini di una lavorazione in cui ogni secondo di musica viene trattato con la chimica della produzione, che il guru di sempre George Martin porta a livelli impensabili per l'epoca, e con quella dell'acido lisergico che scorre soprattutto dentro John Lennon. E vai a spiegare che è il male, quando i risultati sono i cieli di marmellata, la ragazza dagli occhi di caleidoscopio di "Lucy In The Sky With Diamonds", e ancora l'odore di fiera paesana di "Being For The Benefit Of Mr.Kite!", pezzi che portano altrove, fondamentali per spezzare la sequenza pure fantastica che McCartney ha messo in piedi sul concept della banda dei cuori solitari: Ringo che chiede l'aiuto dei suoi amici, i genitori che piangono la figlia fuggita verso le sue libertà di "She's Leaving Home", la vigilessa Rita, che seppure vigilessa è "Lovely". Poi, a un certo punto, quando la banda saluta e se ne va, dal nulla emerge il racconto parallelo e diversissimo di un giorno nella vita di Lennon e McCartney: quieto, abbandonato, domestico, palesemente in acido quello di John; concitato, attivo, urbano quello di Paul: e i due si ricongiungono in un sogno, un sogno rappresentato dalla voce di Lennon che si libera in un coro che proietta in alto, oltre, in una dimensione di pura liberazione, prima di tornare brevemente sulla Terra e chiudere con un accordo di piano fortissimo, dall'eco apparentemente infinita che lascia lì, attoniti, in sospensione. Immaginatevi il mondo, specie quello dei giovani, di fronte a tutto questo nel primo sole caldo del 1967: e capite perché Sergeant Pepper's non è il disco più venduto di sempre, e nemmeno quello più musicalmente bello - nemmeno degli stessi Beatles, vedi alla voce Abbey Road - ma è e sarà sempre il più grande e importante di tutti, di qualsiasi opera di musica leggera contemporanea. Ha raggiunto l'obiettivo di qualsiasi artista, ha unito, ha portato con sè, se non ha davvero cambiato il mondo ha cambiato "un" mondo, anche se per poco: la cosiddetta estate dell'amore, cominciata forse proprio qui, finirà male, ed esattamente un anno più in là, le radio inglesi e americane che passano in continuazione l'universo di Pepperlandia censureranno "Street Fighting Man" dei Rolling Stones, inno delle barricate e della ribellione violenta e drogata male del 1968, il sogno è finito, addio. Peccato. Ma rimane quel giorno, e la copertina messa subito nella parte buona della vetrina: e sullo sfondo, un bel po' in disparte, un altro album nuovo di zecca, è di un esordiente, la faccia in primo piano colpisce parecchio, il nome pure perchè è bello strano: David Bowie. Una storia che comincia, parallela a quella infinita dei Beatles, e che si ricongiungerà nel sogno della musica, dell'arte, dell'immaginazione. A Day In The Life, 1 giugno 1967.