A Messina un'operazione congiunta antimafia di carabinieri, guardia di finanza e polizia ha portato all'arresto di 33 persone. Le persone arrestate sono accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini si sono concentrate sulla consorteria mafiosa egemone nel rione messinese di "Provinciale" capeggiata dal noto esponente mafioso Giovanni Lo Duca.
Al centro dell'inchiesta il clan radicato nel quartiere Maregrosso e guidato da Giovanni De Luca, che dopo 13 anni in carcere è tornato a fare il boss. Le indagini, avviate dopo la scarcerazione di Lo Duca, hanno accertato che il capomafia aveva riassunto le redini dell'organizzazione ed era riconosciuto come punto di riferimento criminale sul territorio, intervenendo "autorevolmente" nella risoluzione di controversie fra esponenti della criminalità.
Dopo quasi due anni di intercettazioni e servizi di osservazione, i carabinieri hanno documentato come il suo clan, attraverso il sistematico ricorso alle minacce e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, era riuscito ad affermare il pieno potere e a controllare le attività economiche della zona. Base operativa era il bar "Pino" gestito da Anna Lo Duca, sorella del capomafia che trascorreva le sue giornate nel locale e lì incontrava gli altri esponenti mafiosi per pianificare estorsioni e scommesse sportive anche per conto di un allibratore straniero. Il bar è stato sequestrato.
Candidato pagò boss in cambio di voti Dalle indagini è emerso anche che un aspirante consigliere comunale, candidato alle elezioni del Comune di Messina nel 2018, pagò una somma di 10mila euro a Salvatore Sparacio, boss arrestato nel blitz di oggi. Il candidato, risultato poi non eletto nell'assise cittadina, avrebbe pagato il boss in cambio di voti, per la propria scalata elettorale. L'accordo ha fruttato, stando alle indagini, 350 voti all'aspirante consigliere comunale.