televisione

Nassiriya e la retorica necessaria

Telebestiario di Francesco Specchia

Fa specie, un po’ emoziona la sveglia mattutina con un’edizione speciale di Studio Aperto, cadenzata dal vocione di Claudio Brachino incrinato dall’emozione. La notizia del nuovo attentato a Nassiriya è poi rimbalzata sulla chioma un po’ sgualcita di Monica Maggioni a Uno mattina; si è espansa come una macchia di petrolio, come un virus, come un cachemar dal quale vorresti svegliarti al più presto, nei palinsesti; e ha incapsulato ogni edizione di ogni tg.

La notizia è che Franco Lattanzio, 38 anni, maresciallo capo dei carabinieri, giunto in Iraq il 3 dicembre scorso, Nicola Ciardelli, 34 anni, capitano dell'esercito con moglie e un figlio e Carlo De Trizio, 37 anni, altro maresciallo capo dei carabinieri non ci sono più. Uccisi da una bomba bastarda, piuttosto che da kamikaze, la cosa non cambia ai fini della trama. E a noi, in questa sarabanda di notizie, in questa giostra di cordogli e solidarietà patinata torna in mente una frase: «Sono morti italiani migliori della media. Li ricorderemo a retorica passata, quando torneranno ad essere gente qualunque, asciutta, contro gli sputi di Genova e le lacrime di Nassiriya...». Sono parole di Toni Capuozzo, che dedicò il suo “Terra” –all’indomani del primo attentato del 2003- alle “Fiamme spente” dei carabinieri morti in Iraq, mentre la commozione gli velava gli occhi e gli arrochiva i dittonghi.

Ancora ce l’abbiamo negli occhi quel capolavoro di giornalismo. E quello spettacolo –ora come allora- avvolse i telespettatori -compreso chi scrive- in un sudario di rispettoso silenzio. Davvero. “Terra” ha dimostrato che a volte la retorica (in senso classico, quella che forgiava l’eloquenza e l’animo dei Quiriti) è necessaria.

La retorica è il senso del decoro e dello Stato, il tricolore che garrisce, “gli alamari cuciti sulla pelle”, come diceva Dalla Chiesa. La retorica, in certi casi, bisogna rivendicarla. Capuozzo –e pochi altri- l’hanno capito.

Perché migliori cronisti, come Montanelli a Budapest o Malaparte a Leningrado, sono quelli che, infilando un servizio dietro l’altro, sanno disilluderti -dal Libano alla Bosnia dalla Somalia a Timor Est- del fatto che gli italiani brava gente, siano ancora invulnerabili. I veri cronisti ti mostrano Sciascia e Salvo D’Acquisto; e i caroselli variopinti e demodè, e i cappelli piumati riposti nei cilindri di cartone.

Ci mostrano quanto orgoglio di patria sfrigoli tra le giberne dei fanti della Sassari, la cui memoria è coperta di petali in una caserma di Gorizia. Ci spiegano- groppo in gola e dignità di chi non può piangere- cosa vuol dire esser figli, fratelli e nipoti dell’Arma.
I veri cronisti, in questi casi – vivaddio- ci sanno inondare di retorica... Usi obbedire tacendo, e tacendo morir...