Tra marzo e aprile del 1917 Picasso e l’amico Jean Cocteau soggiornano prima a Napoli e poi a Pompei. Entrambi stanno lavorando a uno dei balletti di Diagliev, Parade, che andrà in scena il successivo 17 maggio al Théâtre du Chatelet di Parigi. E, se Cocteau ha l’incarico di scrivere i testi, a Picasso spetta il compito di pensare alle scene e ai costumi. Ma, l’incontro con il vivace folclore partenopeo e l’impatto con l’antichità classica di Pompei saranno fortissimi (“Credo che nessuna città al mondo possa piacermi più di Napoli” scrive infatti Cocteau alla madre), tanto da segnare pesantemente sia lo stile del balletto, ma anche tutta la futura pittura di Picasso.
Il balletto, privo di una trama precisa, è la “parata” di alcuni personaggi circensi (tra cui il manager americano e il manager europeo, voluti da Picasso e per i quali disegna costumi cubisticheggianti) che intendono attrarre un folto pubblico alla loro rappresentazione, però gli spettatori scambiano quell’uscita per lo spettacolo e abbandonano gli sbigottiti attori prima ancora del debutto vero e proprio. Oltre ad essere una chiara metafora sulla difficoltà di comprendere l’arte moderna, il balletto (con musiche di Satie e coreografie di Massine) segna una svolta importante nell’arte di Picasso, l’inizio del suo “ritorno all’ordine”, che resta evidente proprio nel gigantesco sipario, una tela di 17 metri di base per 10 di altezza, visibile fino al 10 luglio nella sala da ballo della Reggia di Capodimonte, mentre i costumi sono dislocati nell’Antiquarium di Pompei.
Allora cosa c’è di tanto importante in quest’opera, oltre alle sue dimensioni? Se dovessimo rispondere con una sola parola potremmo semplicemente dire la sua mediterraneità, ma la faccenda è più complessa e merita di essere vista nei dettagli. Picasso ha dipinto, tra tendaggi seicenteschi e sullo sfondo di antiche rovine, quindi sotto la suggestione di quanto stava vedendo in Italia, un gruppo di maschere e di attori in costume a destra, mentre a sinistra pone Pegaso con il suo piccolo e una giovane fanciulla, con tanto di ali e agilità acrobatica. Tra le maschere, che sono sul palcoscenico ma non si esibiscono, ci sono Pulcinella e Arlecchino (controfigura di Picasso stesso), ci sono figure senza tempo e senza età perché non appartengono al reale, ma alla commedia dell’arte, alla fantasia.
Allo stesso modo, a pochi metri da loro, va in scena il mito, con il cavallo dei poeti, la sfera con il firmamento celeste e una scala a pioli a fasce blu, bianche e rosse (casualità circense o esplicito intento nazionalistico in un’Europa sconvolta dalla guerra?), sulla quale si arrampica una vivace scimmietta, emblema dell’atteggiamento imitativo. Come dire, non è la realtà che abbiamo davanti, ma la sua rappresentazione, esattamente come il teatro è la rappresentazione della vita. Quindi, Picasso non dipinge solo un sipario, ma quello che potremmo considerare un primo ed eloquente manifesto del “ritorno all’ordine”, ovvero quel bisogno di raccontare la modernità senza però dimenticare le radici della propria cultura, riannodando quei fili che le avanguardie avevano sfilacciato e ingarbugliato.
Picasso e Napoli: Parade
Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli
Antiquarium, Scavi di Pompei
8 aprile – 10 luglio 2017