Civello: "Il mio viaggio nella musica italiana, tra buio e luce"
Esce "Eclipse", il nuovo album della cantautrice romana. Tgcom24 ne ha parlato con lei
Buio e luce, incontro e abbandono. Ma anche jazz e pop uniti dalla tessitura della musica da cinema. E' un album di contrasti "Eclipse", il nuovo lavoro di Chiara Civello prodotto da Marc Collin dei Nouvelle Vague. All'interno brani di Francesco Bianconi, Cristina Donà, Diego Mancino e Dimartino. "Mi sono avvicinata a dei poeti e degli artisti che stimo, trovando un punto di incontro - dice a Tgcom24 - per vivere la musica italiana dall'interno".
Tre anni dopo "Canzoni", dove aveva messo momentaneamente da parte il proprio lato di autrice per presentarsi come interprete pura, la Civello ha ripreso in mano "la penna" combinando la propria sensibilità con quella di alcuni degli autori più raffinati del cantautorato italiano. E lasciando rivestire il tutto da Marc Collin, mente dei Nouvelle Vague, gruppo francese diventato celebre per la sua capacità di abbattere gli steccati coverizzando in versione jazz e bossanova classici del punk e della new wave.
Dopo una parentesi da interprete pura sei tornata a scrivere. Con che spirito?
E’ stata un’esigenza naturale, così come lo era stato, nel disco precedente, l’omaggio alla musica italiana. Dopo tanto girovagare e confrontarmi con le musiche più diverse del mondo, "Canzoni" mi ha fatto riappropriare di una parte di me che faceva parte dei miei inizi, quella di interprete. Da quell’esigenza è nata quella odierna, ovvero di rendere un omaggio all’Italia questa volta stando dentro. Avvicinandomi a dei poeti e degli artisti che stimo, trovando un punto di incontro e diventando sempre interprete della mia musica insieme a persone che anche loro la vivono. Quindi la parte di interprete continua ma confrontandosi con “materie prime”.
E poi è arrivato l'incontro con Marc Collin...
Che è stato fondamentale. E' stato lui, non appena ha sentito il materiale, ad avere l’intuizione di legare le canzoni a un aspetto visuale, che le riconducesse a uno dei picchi più elevati della musica italiana, quella della musica da film. Piccioni, Morricone, Emiliani, Bacalov… che poi è la musica italiana esportata. Allo stesso tempo ha pensato di vestire queste canzoni con suoni molto rappresentativi della nostra tradizione musicale, tipo gli organi di quegli anni, ma in una visione più moderna, associandoli a un basso synth, una batteria elettronica.
Conoscevi già l'opera dei Nouvelle Vague?
Mi ricordo benissimo il loro primo album di cover punk. A me, che sono una grande fan della musica brasiliana, piaceva moltissimo il loro modo un po’ "gringo" di reinterpretarla. La loro libertà di fare scelte moderne. Marc mi ha detto oggi possiamo permetterci di fare quello che ci pare, non dobbiamo rispettare nessun codice. Che secondo me è il limite di un certo tipo di jazz. Oggi ascolto infatti un jazz un po’ più "aperto", progressivo e psichedelico.
Perché hai intitolato l'album "Eclipse"?
Sai quando cerchi cerchi…? Avevo bisogno qualcosa che evocasse il cinema. E l’Eclisse di Antonioni era un pezzo che già cantavo da un paio d’anni dal vivo. In più volevo una parola che avesse lo stesso significato in varie lingue. Eclipse è una parola latina significa eclissi in inglese, francese, portoghese, spagnolo, forse anche in altre lingue. Era perfettamente calzante rispetto all’incontro di due emisferi. Un incontro un po’ impossibile tra l’emisfero lunare e quello solare, luce e ombra, questi elementi forti dell’animo umano che si alternano e influenzano a vicenda. Attraverso questa parola vorrei celebrare l’incontro e allo stesso tempo il disincontro, l’amore che inizia come quello che finisce.
La copertina è molto particolare, con il tuo viso in parte ombreggiato.
Nella foto quell’ombreggiatura potrebbe essere il perimetro di un’eclissi parziale sul mio volto. E’ opera di un artista che stimo molto, Matteo Basilè, che ha sentito l’album e ha pensato a questo. E pensa che il titolo io lo avevo in testa ma ancora non era stato deciso e non volevo dirlo per non influenzarlo. Quando ho visto l’immagine ho detto che il titolo era quello.
A proposito di incontri, come è nato quello con Francesco Bianconi e Kaballà?
La nostra è stata una collaborazione nata spontaneamente. A me lui piace molto, sia musicalmente che dal punto di vista lirico. Si sente che è molto ispirato dal cinema e questo mi ha spinto a conoscerlo, senza impegno: la sintonia non è obbligatoria. Ma devo dire che con lui ho trovato dei punti di incontro molto forti.
In questo album hai lavorato con alcuni autori del pop più ricercato. Che rapporto hai invece oggi con quello più mainstream che hai toccato in passato, per esempio partecipando a Sanremo nel 2012?
No comment... Non voglio fare quella che prende le distanze o critica a tutti i costi il mondo pop. Però sono felice che oggi i miei artisti di riferimento siano persone tipo Dimartino, Bianconi, Capossela o Paolo Conte. Artisti più mossi dalla voglia di dire qualcosa e di spingersi oltre il perimetro del conosciuto piuttosto che dal voler essere famosi e vendere. Mi sento più attratta verso il mondo non necessariamente vincolato alla televisione.
Per la tournée cosa stai preparando?
Una cosa per me stupenda. Imprevedibile. Ultimamente ho fatto molte cose da sola o in due e mi sono accorta che, per quanto banale possa essere, è vero che "less is more". Dal vivo, avendo solo se stessi o uno o due altri elementi, si trovano posti meravigliosi dove poter far risuonare tutto, anche i silenzi. Questo non significa però che sarà una cosa lenta e soft, la gente ballerà!
Hai detto "una cosa stupenda" ma sottolineando "per me". Quando lavori a un progetto quanto pensi alla reazione del pubblico e quanto invece segui solo il tuo istinto?
Al pubblico ci penso sempre. Ma penso anche che chi entra in quella sala o mi conosce un po’ mi viene a conoscere. Se c’è una cosa che mi caratterizza è un certo tipo di discrezione. Per me uno spettacolo ha la dinamica di una stretta di mano: una prima occhiata un po’ scettica, la stretta di mano che ti fa sentire la temperatura della pelle dell’altro, un po’ di chiacchiere, un sorriso, o meno, e poi un commiato. Quello dal palco al pubblico è un incontro. E in quel senso penso al pubblico ma sicuramente non ho nulla da pretendere. Io faccio e in quello che faccio c’è la considerazione per chi mi ascolterà. Ma non da alterarne il contenuto.
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