"Caro Dolfi, ho dimandate alcune camicie rosse alle signore Italiane incaricandole di inviarle a voi. Ditemi se non avete difficoltà di riceverle". Firmato Giuseppe Garibaldi. In queste pochissime righe scritte dall'eroe dei due mondi il 3 luglio 1867, c'è il cuore - rosso, come le camicie - pulsante del Risorgimento italiano. La lettera, rimasta nascosta per anni nell'autorimessa di una ditta di traslochi, è stata svelata al mondo dagli studiosi della Scuola Normale Superiore di Pisa. Ma non è la sola: nell'archivio storico della Domus Mazziniana sono custodite migliaia di testimonianze inedite anche di altri grandi protagonisti della storia e della cultura italiane: da Giuseppe Mazzini a Benito Mussolini, da Benedetto Croce a Filippo Turati.
Grazie a un accordo tra Normale, ministero dei Beni e delle Attività Culturali e Soprintendenza giunge così a una svolta una situazione di stallo protrattasi dal 2010. La riconfigurazione della Domus Mazziniana, che allora ebbe luogo in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, comportò infatti lo spostamento di gran parte della biblioteca e dei fondi archivistici prima in un deposito dell'Università di Pisa e poi in un magazzino privato di Perignano nel Comune di Lari. E qui rimasero chiusi per anni, senza poter essere consultati da nessuno.
La lettera di Garibaldi al fornaio patriota - Il destinatario della sopracitata lettera di Garibaldi era Giuseppe Dolfi, il fornaio patriota che combatté per la liberazione di Firenze dai Lorena e per l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna. Garibaldi, che nella missiva si lamentava della mancata consegna delle camicie rosse, stava preparando nuove azioni nei territori dello Stato Pontificio, che culminarono con la Breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870.
La camicia (o giubba) rossa era il segno distintivo scelto dai volontari garibaldini fin dal 1843, quando il patriota radunò a Montevideo 500 connazionali nella Legione italiana per difendere la Repubblica dell'Uruguay dalle mire del dittatore argentino Juan Manuel de Rosas. Le risorse erano scarse e Garibaldi utilizzò un panno di lana rosso, in genere usato dai macellai per nascondere le macchie di sangue animale, per vestire le sue truppe. Giunte dall'altro lato dell'Atlantico, sulle sponde del Mediterraneo, le camicie rosse divennero poi un simbolo della nascita del Regno d'Italia.
La richiesta di Mussolini: un lavoro come traduttore - Che Benito Mussolini sia stato "folgorato" dal socialismo, soprattutto di matrice tedesca, è cosa risaputa. Meno noto è però che questa sua "vocazione" lo portò a scrivere al giornalista e scrittore Arcangelo Ghisleri, a sua volta molto vicino a uno dei padri del socialismo italiano: Filippo Turati. In una lettera datata 1904, il futuro Duce scriveva a Ghisleri: Egregio professore, venerdì della settimana scorsa le ho spedito la trascrizione unitamente all'originale e una mia lettera. Non ho ricevuto notizie, né sì né no, se il manoscritto le è giunto. Favorisca rispondermi affinché, se trattasi di disguido postale o di abuso poliziesco alla frontiera (non è la prima volta), si possano fare le pratiche del caso. Nell'attesa di un suo cenno di riscontro, distintamente la saluto. Suo sempre, Benito Mussolini.
La missiva faceva seguito a un'altra lettera in cui Mussolini si proponeva come redattore e traduttore di tedesco al servizio di Ghisleri, professore di lettere. "Ghisleri aiuterà Mussolini che poi si sdebiterà con il professore, sempre dichiaratosi antifascista, non perseguitandolo", spiega Daniele Menozzi, docente di Storia contemporanea alla Normale e presidente del centro archivistico.
Mazzini "mammone" - Tra le carte riportate alla luce ci sono anche le righe scritte dalla mamma di Mazzini, Maria Drago. In una lettera al suo Giuseppe, la donna dà sfogo ai suoi due più grandi amori: il figlio e la patria. Nelle sue parole traspaiono da una parte la preoccupazione, dolcemente materna, per la vita del figlio, e dall'altra l'incitamento a "perseverare nell'agitazione repubblicana".