Come spiega il Centro studi ImpresaLavoro attraverso la sua ultima indagine, la spesa pubblica può essere di due tipi: quella di qualità – legata ai nuovi investimenti, infrastrutturali e non – e quella dedicata al mantenimento dell’attività, ovvero quella corrente. Il guaio è che negli ultimi dieci anni la forbice in questione si è allargata notevolmente, a discapito degli investimenti.
Tra il 2005 ed il 2014, mentre la spesa pubblica italiana in relazione al Pil aumentava, passando dal 50,4% del primo anno considerato al 55%, la quota destinata agli investimenti si assottigliava sempre più, passando dal 12,5% al 9,5%. Di conseguenza è lievitata la quota relativa alla spesa corrente, passata dall’87,5% del 2005 al 90,5% del 2014.
Eppure, come spiega la relazione che accompagna lo studio, una buona spesa pubblica – concentrata quindi sugli investimenti – “porta come frutti una crescita economica, sociale e culturale”. Non solo, se la spesa pubblica del nostro Paese fosse stata indirizzata esclusivamente agli investimenti, l’Italia ne avrebbe giovato anche in termini di rapporto debito/Pil e di deficit/PIl.
Ad oggi il rapporto è pari al 132%, mentre con lo scenario alternativo proposto nell’indagine nel 2014 si sarebbe attestato al di sotto del 100%, più precisamente al 98,1%. Un valore che, secondo gli ultimi dati Eurostat, si porrebbe poco al di sopra della media dell’Eurozona, dove il rapporto tra debito pubblico e Pil è pari al 92%. Oltretutto, uno scenario simile avrebbe comportato anche un miglioramento del bilancio tra deficit e Pil: 0,4% quello ipotizzato per il 2014 contro il 3,5% del dato ufficiale.
Tornando all’andamento reale, in termini assoluti si può osservare come degli oltre 686 miliardi di euro di debito accumulati tra il 2005 ed il 2015, solo poco più di 74 miliardi siano legati dalla spesa per conto capitale, contro i 612 miliardi di spesa corrente. In parole povere, ogni dieci euro di nuovo debito, ben nove euro servono per coprire le spese ordinarie.