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Social e Whatsapp, “posso fare anche a meno di voi”?

L’esperimento condotto dall'antropologa Angela Biscaldi chiedeva a tre classi di liceali di rinunciare per una settimana alla loro vita da “connessi alla rete”. Chi ce l’ha fatta?

Esiste un rapporto sempre più stretto tra le persone e i social network che ha ripercussioni significative sulle nostre vite. Tgcom24 ha intervistato  Angela Biscaldi, ricercatrice in antropologia culturale presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche della Facoltà di Scienze politiche, economiche e sociali dell’Università Statale di Milano, in merito all’esperimento condotto sugli studenti del Liceo artistico “Munari” di Crema dal 23 al 29 gennaio. La professoressa ha chiesto a 46 studenti delle classi terza, quarta e quinta del liceo di rinunciare all’uso di social network e Whatsapp per una settimana. Solo 3 ragazzi su 46 sono riusciti nell’impresa.

Com’è nata l’idea di questo esperimento?
"L’esperimento rientra pienamente nel mio campo di indagine, che è appunto l’antropologia. Oggi il fenomeno dei social network sta incidendo significativamente sulle modalità di apprendimento e di relazione delle nuove generazioni, pertanto l’esperimento si colloca all’interno di una indagine molto ampia ed estremamente attuale, imprescindibile per un antropologo".

Solo 3 studenti su 46 sono riusciti nel test. Aveva previsto questo esito?
"L’esito non mi ha allarmato. Studiando da anni il fenomeno dei social network e l’impatto sulle nuove generazioni non sono rimasta sorpresa. L’esperimento è stato una conferma a quanto avevo già appurato nel corso degli ultimi anni, ovvero che il legame tra le persone e i social è avvertito sempre più come qualcosa di “naturale”, facente parte della vita di tutti i giorni".

Quando un ragazzo cedeva all’uso dei social doveva motivarne la ragione per iscritto in una sorta di diario personale.
"L’idea del diario personale è nata più per esigenze pratiche. Era impossibile per me esercitare un controllo diretto sugli studenti, dunque ho dovuto chiedere loro di collaborare e di esplicitare a parole le ragioni per cui a un certo punto non riuscivano a desistere dall’uso dei social o di Whatsapp".

Qual è stata la ragione più comune per cui i ragazzi hanno abbandonato il progetto?
"La ragione per cui molti hanno abbandonato è che non hanno compreso il senso di quello che gli veniva richiesto e quindi non si sono impegnati nel progetto. Semplicemente, per loro non era una cosa importante e, di conseguenza, la fatica richiesta gli risultava immotivata. Altri, pur avendo compreso lo scopo dell’esperimento, hanno rinunciato per noia, non sapendo come impiegare il tempo. L’altra motivazione congiunta alla noia è stata il senso di isolamento che opprimeva i ragazzi, facendoli sentire estraniati dalla realtà".

Crede che il nuovo modo di dare e ricevere le informazioni introdotto dai social network possa migliorare o peggiorare le relazioni tra le persone?
"Non esprimerei giudizi di merito, parlare di migliore o peggiore, giusto o sbagliato non è l’approccio corretto per comprendere il fenomeno. Rifiuterei anche l’allarmante etichetta di “dipendenza dai social” che ho sentito da altri. In ogni caso, la mia visione sul futuro non è così negativa".

Quali cambiamenti relazionali e comportamentali legati ai social ha potuto rilevare nel corso degli ultimi anni?
"Nella mia professione ho potuto constatare personalmente una difficoltà crescente tra i giovani di relazionarsi con i docenti durante i colloqui e gli esami orali. In queste occasioni i ragazzi dimostrano uno stato d’ansia superiore al passato perché non sono più abituati a comunicare verbalmente. Tra di loro infatti parlano poco poiché usano i social anche quando sono in gruppo. È necessario che la famiglia e la scuola educhino a un corretto uso dei social network, in particolare devono insegnare la consapevolezza a un utilizzo responsabile che non crei un deficit comunicativo. Perché il risvolto più preoccupante dei social è proprio questo: disabituare alla parola, alla scrittura e alla lettura".

Una nota dolente riguardo alla diffusione dei social network riguarda appunto la conseguente squalifica subita dalla scrittura e dalla lettura. Che cosa può dirci al riguardo?
"È evidente che il ridimensionamento del ruolo della scrittura e della lettura si collega anche alla preferenza che oggi viene data ai social ma personalmente ho avuto modo di riscontrare ancora una certa sensibilità e attenzione verso la lettura in particolare alle scuole materne ed elementari. Tuttavia è innegabile che a un certo punto della crescita del bambino, in concomitanza con la fine delle scuole elementari e l’inizio delle medie, si verifica un progressivo disinteressamento che va di pari passo all’attrazione per i social network e per il mondo della rete".    
 

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