"Presidente Trump, anche lui è un illegale e un criminale, rimandalo in Messico". E' questa la carta che intende giocarsi il difensore di uno dei messicani più temuti d'America, Joaquin Guzman, noto come "El Chapo", il boss dei narcos che si trova in un duro regime di detenzione in una cella del supercarcere di Manhattan, a New York. Cavalcando la campagna del nuovo inquilino della Casa Bianca contro i clandestini, l'avvocato José Luis Gonzalez Meza studia una nuova strategia legale per riportare il re dei trafficanti di droga nelle più familiari prigioni di casa sua, in Messico, appunto.
Estradato negli Usa il 20 gennaio, giorno dell'insediamento a Washington di Trump che mira ad espellere i migranti autori di atti illegali, El Chapo si è sempre dichiarato non colpevole rispetto alle accuse mosse contro di lui, diciassette in tutto.
Tra le più gravi, l'aver guidato una banda criminale che dal 2003, insieme ad altri capi del narcotraffico messicano, ha inviato e distribuito negli Stati Uniti circa 457 tonnellate di cocaina e l'essere legato a una decina di omicidi.
Dalle carceri messicane è già evaso due volte, nel 1993 e nel 2015. Contro le dure misure di sicurezza americane El Chapo protesta, per bocca dei suoi legali, fin dalla prima comparsa davanti al tribunale federale di Brooklyn, a New York, il 3 febbraio.