Lui ti ha lasciata? Gli occhi sullo smartphone in attesa di un suo sms, la sensazione di inappetenza e di vuoto, le notti insonni e di rabbia: tutto questo è il classico mal d’amore. La sofferenza amorosa coinvolge potentemente anche il fisico con una serie di sensazioni tipiche, che vanno appunto dal mal di stomaco alla difficoltà a dormire, alle crisi di ansia. A volte i sintomi assomigliano addirittura a quelli di un attacco cardiaco: di solito si riesce a superarli senza danni permanenti, ma ci sono situazioni in cui d’amore si può letteralmente morire: la scienza ha anche dato un nome a questa particolare patologia, chiamandola “sindrome del cuore spezzato”.
Secondo gli esperti dell’American Heart Association, il dispiacere causato dalla fine di un rapporto importante è un lutto che pesa sul corpo in modo significativo. Oltre a somatizzare l’ansia e il dispiacere attraverso i comuni sintomi che tutti abbiamo sperimentato almeno qualche volta nella vita, il turbamento amoroso può causare un calo immunitario e far aumentare la produzione di ormoni dello stress nocivi per la salute del muscolo cardiaco. Esiste anche una patologia specifica, nota come “sindrome del cuore spezzato” (in termini scientifici è definita “cardiomiopatia di Tako-tsubo”), per fortuna piuttosto rara, che può portare anche alla morte.
Alle donne le cose vanno peggio che agli uomini: possono essere colpite dai sintomi del mal d’amore sette volte più di quanto non accada ai loro colleghi maschi e anche la sindrome del cuore spezzato è quasi prevalentemente femminile. Non si tratta solo di maggiore fragilità o di emotività più spiccata delle donne: gli uomini hanno infatti un numero maggiore di recettori di adrenalina rispetto alle persone di sesso femminile, motivo per cui sono in grado di gestire meglio lo stress e l'ondata chimica che esso rilascia.
Nel nostro cervello, le sensazioni provocate dall’innamoramento vanno ad attivare alcune aree situate nel tronco encefalico, nella stessa zona in cui si collocano alcuni degli istinti vitali legati alla sopravvivenza. Si sa da tempo che le zone del cervello che si attivano quando ci si innamora o si sperimenta l’orgasmo sono quelle della cosiddetta area tegmentale ventrale, la stessa che si accende quando si assumono droghe come la cocaina. In pratica, quando si troviamo davanti alla persona amata ci comportiamo come dei tossicodipendenti. Quando il rapporto si conclude entriamo in una sorta di stato di astinenza, in cui il desiderio dell’altro si riaccende anche solo al vedere una sua foto o un post pubblicato sui social.
Inoltre, il fatto di soffrire per amore attiva le stesse aree del cervello che si accendono quando si soffre per un dolore fisico, tant’è vero che si avverte un dolore localizzato simile a quello del cuore che si spezza. Questo avviene perché il sistema nervoso centrale elabora nello stesso modo il dolore fisico e quello psicologico.
Oltre al calo immunitario si può incorrere anche in altri problemi: nel sangue aumentano i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, causa di insonnia, inappetenza e senso generale di debolezza. Un forte stress può anche determinare un indebolimento dei capelli, con conseguente caduta (per fortuna temporanea).
A livello più strettamente psicologico è l’autostima a risentirne più pesantemente: il fatto di sentirci abbandonati e la perdita del nostro oggetto del desiderio ci porta a interrogarci sulla nostra adeguatezza, sugli errori che possiamo aver commesso e su cosa può esserci di sbagliato in noi.
Come si affronta tutto ciò? Innanzi tutto, occorre dare tempo al tempo. Per fortuna le aree del cervello che presiedono a questi meccanismi tendono a riportarsi in equilibrio e ci spingono a guardare al futuro, secondo principi atavici che presiendono alla necessità di sopravivenza della specie. Il fatto di trovarci soli, ci porterà presto a uscire allo scoperto in cerca di nuovi contatti sociali e di nuovi rapporti. Per aiutare questo naturale meccanismo, gli esperti suggeriscono di non cedere alla tentazione di crogiolarsi troppo a lungo nel dolore, ma di fuggirlo il più possibile, anche evitando luoghi e situazioni che possono riportarcelo alla mente.