Consumi: la ripresa è ancora fragile
A fare i conti con le difficoltà che permangono nonostante le tendenze al rialzo sono soprattutto i negozi della distribuzione tradizionale
I dati deludenti delle vendite al dettaglio registrato in chiusura dell'anno scorso hanno mostrato una volta di più l'andamento incerto della ripresa economica. Nonostante un lieve rialzo del clima di fiducia rilevato tra gli altri da Nielsen, tuttavia al di sotto dei livelli registrati in altri paesi europei, i consumi in Italia stentano ancora a decollare.
Già Confcommercio, in un'analisi condotta con il Censis, ha previsto per il 2017 una crescita se possibile più modesta dei consumi rispetto al 2016. Un anno che ha visto crescere il potere d'acquisto degli italiani, ma non allo stesso modo il carrello della spesa.
In generale la crescita nel 2016 – non solo in Italia – è stata trainata soprattutto dalla domanda interna, a fronte di un più marcato rallentamento del commercio mondiale. In Germania i consumi privati – cresciuti del 2% – hanno sostenuto il Pil del paese, mentre dall'export è arrivato un contributo molto più contenuto. Anche Spagna e Francia hanno evidenziato tendenze al rialzo, nel caso francese soprattutto all'inizio del 2017 dopo il calo di dicembre.
Ora bisognerà attendere, per comprendere meglio il trend dei consumi in Italia, gli effetti delle recenti spinte inflazionistiche. A febbraio l'inflazione è aumentata ancora, ma i dati provvisori dell'Istat – così come quelli del mese precedente – confermano che a spingere verso l'alto sono le componenti più volatili (energetici e alimentari), mentre l'inflazione di fondo si attesterebbe a +0,6% da +0,5% del mese precedente.
La fragilità della ripresa ha un impatto diretto sulle imprese. Confesercenti, elaborando gli ultimi dati sulle vendite del commercio al dettaglio dell'Istat, ha stimato che nel 2016 il settore ha registrato, rispetto al 2010, una diminuzione delle vendite di circa 7,7 miliardi, vale a dire oltre 300 euro di spesa in meno per famiglia.
La perdita, però, non sarebbe equamente divisa tra le varie forme distributive. A subire il contraccolpo peggiore, infatti, sono i negozi della distribuzione tradizionale, le cui vendite risultano essere diminuite di 6,9 miliardi in sei anni. Meglio va alla grande distribuzione, che riesce a limitare le perdite.
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