Riteniamo troppo facile un atteggiamento di chiusura davanti alla scelta di far leggere agli studenti libri come quelli “incriminati” a Nuoro e Ottana, che affrontano temi molto delicati quali il sesso, il revenge porn, il cyberbullismo. Troppo facile perché comoda è la via dell’indignazione: la realtà - difficile da accettare - è che gli stessi temi considerati “non adatti ai minori” sono quelli che li vedono protagonisti nella vita di tutti i giorni, nei bagni di scuola, nel segreto di una chat. Basti pensare che, durante una recente rilevazione di Skuola.net e Osservatorio Nazionale Adolescenza, circa il 6,5% dei 7mila studenti intervistati ha confessato di aver inviato almeno una volta foto intime (cioè anche di nudo o di masturbazione) a un suo coetaneo o sedicente tale. Una percentuale forse bassa, si potrebbe pensare. Ma non è così, soprattutto se ci si accorge che si tratta di più di 1 ragazzo su 20: uno, quindi, per ogni classe delle nostre scuole.
“Non si tratta di mio figlio, non del mio alunno. Loro queste cose non le fanno”. Legittimo pensarlo, ma di sicuro è anche da incoscienti. Soprattutto alla luce del fatto che il 5% degli intervistati, nel corso della stessa indagine, diceva di aver subito la minaccia o la vera e propria messa in atto di revenge porn, vedendo diffuse in Rete le sue foto e video in atteggiamenti intimi. Ed è ancora più incosciente pensarlo constatando - è inevitabile - lo strettissimo legame che oggi c’è tra sesso e social network, tra sexting e revenge porn, tra questi ultimi e il cyberbullismo. Un fenomeno che, dati alla mano, è stato protagonista di diversi casi di suicidio tra i ragazzi. Forse messa così, sbattendo in faccia come uno schiaffo lo spettro della tragedia annunciata, può darsi che l’importanza di adottare delle contromisure diventi davvero una priorità.
Tra chi pratica sexting, la percentuale di revenge porn minacciata o subita sale al 17%. Il revenge porn è ancora più alto tra le vittime di bullismo e/o cyber bullismo (all’epoca della rilevazione si trattava rispettivamente del 20% e del 6,5% del campione), tanto che l’ha subita il 18% di loro. Tra le vittime di cyberbullismo - prendiamo in causa i dati di un’indagine parallela, svolta proprio negli scorsi mesi - il 59% ha pensieri suicidi. Vogliamo aspettare che si passi all’azione?
Se i dati non bastano, parleremo dei morti. Li chiameremo per nome: Carolina Picchio, Tiziana Cantone. Vittime non solo del cyberbullismo e - in senso lato - del sesso. Sono vittime, di nuovo, dell’incoscienza e dell’ignoranza. Quella di adolescenti che non sanno cosa vuol dire violare un’altra persona nella dignità, e di altri adolescenti che non capiscono che, inviando una foto o un video, stanno mettendo la vita nelle mani dei propri carnefici. In ultimo, quella di chi non ha mai spiegato loro come difendersi e vivere il sesso in modo consapevole. Secondo un’altra ricerca di Skuola.net, circa il 60% non ha mai svolto corsi di educazione sessuale a scuola. Non additiamo Facebook, non additiamo nessun social: sarebbe, di nuovo, troppo comodo.
I social non sono gli unici luoghi del “peccato”. Il sesso “non-educato” (nel reale senso della parola) è quello che può sporcare, imbruttire e denigrare, ed è dentro le nostre scuole: all’indomani del grande clamore sulle vicende delle “baby squillo” ai Parioli - correva l’anno 2013 - era il 15% di 3mila studenti a sapere che alcune compagne di scuola scambiavano favori sessuali in cambio di regali o piccole somme di denaro.
Così i casi di Nuoro, Ottana e di Trento, in cui la scuola si trova osteggiata nelle iniziative di dialogo con i giovani riguardo al sesso, dimostrano tutta l’ingenuità di chi si ostina a non voler vedere cosa sta accadendo ai teenager di questi anni 10 del secondo millennio. Riteniamo che parlare di sesso a scuola non sia solo necessario, ma anche urgente: difficile, forse, da credere per chi ha sempre ignorato - fino ad ora, ci auguriamo - l’incidenza di fenomeni come quelli descritti tra gli adolescenti. Ma anche per chi sottovaluta il ruolo del sesso nelle loro giovani vite e, soprattutto, che non comprende in quali proporzioni questa generazione sia mossa da meccanismi totalmente diversi da quelli del passato. La rivoluzione social e il gap tra adulti e giovanissimi, pone ai primi il dovere della conoscenza (prima) e dell’educazione (poi): per fare questo, dobbiamo prendere atto del fatto che la facilità con cui si grida allo scandalo non è che complice delle derive preoccupanti e inquietanti che stanno prendendo le abitudini dei teenager in questo campo.
Anche se i dati, in fondo, servono fino a un certo punto; per capire il fenomeno basta guardarsi attorno. Facendolo, però, con attenzione. Perché i nostri adolescenti sono troppo spesso lasciati soli ad affrontare temi così importanti per la loro crescita. Peccato che poi si facciano le barricate per proteggerli da libri “spinti” o da progetti di educazione alla sessualità, senza pensare che proprio in quel momento li stiamo esponendo al pericolo.