Di recente l'ISTAT ha sottolineato il rafforzamento della ripresa del settore manifatturiero italiano – l'osservazione è contenuta nell'ultima nota mensile sull'andamento dell'economia italiana –, un comparto strategico per il nostro Paese.
L'importanza del settore manifatturiero è nelle sue performance: nel 50° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, il CENSIS osserva che il comparto contribuisce in modo notevole all'export italiano – il settore manifatturiero ha esportato beni per 397 miliardi di euro, pari all'80,4% del totale –, permettendo all'Italia di ritagliarsi un posto tra le principali economie esportatrici (il nostro Paese è al 10° posto nella classifica dei Paesi esportatori, con una quota del 2,8% dell'export globale).
Eppure la crisi economica ha influito parecchio e negativamente sul comparto: il manifatturiero valeva il 17,6% del valore aggiunto totale nel 2008, mentre nel 2014 era il 15,6%. Tra il 2008 e il 2013 si è ridotto del 13,5%, cioè di 30,4 miliardi di euro, nel frattempo l'economia italiana, in complesso, registrava una contrazione del 7%. Tutto questo si è tradotto in una perdita di imprese e occupazione.
Tra il 2009 e il primo semestre del 2016 la manifattura ha infatti perso 54.992 imprese, il 9,2% del totale, a fronte del -2,5% relativo all'intera economia italiana. Questo non ha impedito al manifatturiero italiano di restare tra i primi al mondo: nel Rapporto I nuovi volti della globalizzazione, alla radice delle diverse performance delle imprese, il Centro studi di Confindustria (CsC) sottolinea che l'industria manifatturiera italiana “riesce a difendere la seconda posizione in Europa e la settima nel mondo, con una quota del 2,3%, seppure quasi dimezzata rispetto al 2007”. In Europa, per inciso, l'Italia è seconda solo alla Germania (6,1%) e fa meglio di Regno Unito e Francia.
Segnali positivi non mancano: nel 2015 si sono iscritte ai registri camerali 17.465 imprese manifatturiere (+2,3% rispetto al 2014) e nel primo semestre del 2016 le iscrizioni hanno toccato le 9.883 unità. Le cessazioni stanno diminuendo anno dopo anno: nel 2013 erano 31.177, mentre nel 2015 sono state 27.796 (un numero comunque superiore a quello delle nuove iscrizioni registrate nello stesso periodo).