L'Italia occupa il 24esimo posto nel Bloomberg Innovation Index, la graduatoria dei Paesi più innovativi del mondo. Difficile definirlo un buon risultato, anche se migliore dello scorso anno: nel 2016 il nostro Paese era 26esimo.
Il Bloomberg Innovation Index considera diversi fattori, tra cui il numero di imprese hi-tech, di brevetti depositati e gli investimenti in ricerca e sviluppo. Investimenti in ricerca e sviluppo che in Italia sono cresciuti recentemente.
L'Eurostat osserva che negli ultimi anni – l'analisi considera il periodo che va dal 2005 al 2015 – gli investimenti annui italiani in attività di ricerca e sviluppo sono (leggermente) aumentati, passando dall'1,05 all'1,33% del Prodotto interno lordo (ovvero da 15,5 a 21,8 miliardi di euro).
Nonostante la recente crescita, l'Italia resta comunque al di sotto della media europea – nell'UE, la spesa media in R&S raggiunge il 2,03% del PIL – e molto lontana dai principali partner europei: gli investimenti italiani sono inferiori a quelli francesi (2,23% del PIL, pari a 48,6 miliardi nel 2015), inglesi (1,7%, pari a 43,8 miliardi) e tedeschi (2,87%, del PIL pari a 87,1 miliardi).
Particolarmente rilevante è stato il contributo offerto dalle aziende italiane: pur rimanendo al di sotto della media UE (64%), la quota degli investimenti realizzati dalle imprese sul totale è passata dal 50 al 55%, mentre quella della pubblica amministrazione è scesa dal 17 al 13% (12% la media UE) e quella dell'insegnamento superiore è diminuita, passando dal 30 al 29% (23% la media UE).
Occorre fare un piccolo sforzo in più, in realtà: la strategia Europa 2020 prevede che i Paesi membri contribuiscano ad innalzare la quota di investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del PIL dell'UE (il target stabilito per l'Italia è di una spesa in R&S pari all'1,5% del PIL).
Del resto maggiori investimenti (pubblici e privati) garantiscono grandi benefici. Il Fondo monetario internazionale ha provato a quantificarli a livello globale, in un rapporto diffuso qualche mese fa.
Secondo i calcoli degli analisti del FMI, un incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo potrebbe generare una crescita aggiuntiva del Prodotto interno lordo (PIL) di circa l'8% nel lungo periodo. Si tratta di una stima, naturalmente.
Di qui l'invito rivolto ai governi dei Paesi avanzati a stimolare l'aumento degli investimenti privati: “Le imprese private dovrebbero investire mediamente il 40% in più in ricerca e sviluppo”, spiega l'FMI. Nel lungo periodo, garantirebbe al PIL dei Paesi interessati una crescita aggiuntiva del 5% “e anche di più a livello globale, per effetto degli spillover tecnologici internazionali”.
A livello europeo, invece, il conseguimento del target posto dalla strategia Europa 2020 – investire il 3% del PIL dell'UE in ricerca e innovazione entro il 2020 – potrebbe generare, secondo le stime di Bruxelles, ben 3,7 milioni di posti di lavoro e far crescere il PIL annuale, fino a toccare gli 800 miliardi di euro, entro il 2025.