Il boss Totò Riina ha fatto sapere attraverso il suo legale, l'avvocato Giovanni Anania, che risponderà alle domande di pm e avvocati nel processo sulla trattativa Stato-mafia. La comunicazione è arrivata a udienza chiusa, quando la corte stava per lasciare l'aula. Un colpo di scena che le parti non si aspettavano: sarebbe infatti la prima volta che il padrino corleonese si sottopone all'esame.
Ma dalla decisione del capomafia gli inquirenti, che l'accusano di avere avuto un ruolo nella fase iniziale della cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia, non si aspettano svolte epocali. L'imputato, l'unico del dibattimento ad aver acconsentito a sottoporsi ad esame, più probabilmente approfitterà del "palcoscenico" dell'udienza per difendersi.
Di diverso rispetto alle dichiarazioni spontanee, però, oltre alla novità del boss che non si avvale della facoltà di non rispondere, c'è che i pm potranno fargli domande anche su temi più ampi: come i suoi dialoghi fiume col co-detenuto Alberto Lorusso intercettati dagli investigatori nel carcere di Opera.
Comunque andrà, escludendo che il capo di Cosa nostra, ormai molto anziano e malato possa ammettere colpe e accusare complici, vederlo a tu per tu con la pubblica accusa e le parti del processo sarà interessante. La data dell'esame è ancora incerta, Riina, però, dovrebbe rispondere in videoconferenza dal carcere di Parma in cui è detenuto. Stesse modalità usate per farlo assistere, ormai in barella, al processo sulla cosiddetta trattativa in cui è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato.
Al momento sarebbe l'unico dei 10 accusati ad aver accettato di rispondere. Il presidente della corte d'assise, che celebra il dibattimento, per organizzare il calendario dopo la fine dell'esame dei testi della Procura, alla scorsa udienza ha sondato le loro intenzioni. E solo il boss ha acconsentito. Altri coimputati, come il generale dei carabinieri Mario Mori, hanno preferito le dichiarazioni spontanee. Il 10 febbraio toccherà all'ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, che anticiperà in aula la sua difesa.
Il processo, cominciato alla fine di ottobre del 2012, tenta di far luce sui retroscena della stagione delle stragi mafiose del '92 e del '93 quando, secondo l'accusa, ufficiali del Ros, con solide coperture istituzionali, avrebbero tentato, attraverso l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, di avviare contatti con Cosa nostra. Interlocutori: prima Riina, poi il boss Bernardo Provenzano, al quale sarebbe stata assicurata l'impunità.
Sul piatto, in un quadro che via via con le indagini si è assai complicato e ha visto mafia e pezzi deviati dello Stato concorrere ad un piano di destabilizzazione con pezzi dell'eversione di destra, ci sarebbe stato anche un affievolimento del carcere duro, posto come condizione, nella trattativa, dalla mafia.
Ma sul processo, ormai prossimo a una conclusione, si sono abbattuti diverse tegole: l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino, giudicato separatamente in abbreviato, e l'arresto del principale testimone, Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, da una settimana in galera per scontare due condanne definitive. Un colpo pesante per i pm.