L'ultimo allarme di Unimpresa sul disagio sociale (sono oltre 9,3 milioni gli italiani a rischio povertà) pone l'attenzione, di nuovo, sulla situazione occupazionale del nostro paese. Perché a incidere è anche la condizione di chi ha un lavoro precario e di quanti compongono l'area dei cosiddetti “poveri che lavorano”.
Nello specifico Unimpresa osserva che in un anno, tra il 2015 e il 2016, è aumentato il lavoro non stabile per circa 200 mila persone, allargando la fascia di chi a rischio povertà. Nel 2015 erano 6,14 milioni gli occupati in difficoltà, nel 2016 risultavano essere 6,34 milioni.
L'area di disagio viene perciò ripartita in questo modo dal centro studi di Unimpresa: quasi tre milioni di persone disoccupate; lavoratori con contratti a termine, quelli part time (737 mila persone) e quelli a orario pieno (1,73 milioni); lavoratori autonomi part time (823 mila); collaboratori (327 mila): chi lavora con contratti a tempo indeterminato, ma part time (2,71 milioni).
La fase di incertezza deve, con ogni probabilità, avere ripercussioni sui comportamenti delle famiglie. A queste considerazioni, infatti, potremmo aggiungere quelle ancora una volta del centro studi di Unimpresa di alcuni giorni prima secondo cui le famiglie preferiscono accumulare anziché spendere, in considerazione dell'aumento – pari a 36 miliardi di euro – delle riserve lasciate in banca (+4% in un anno).
Ad ogni modo c'è da osservare che la tendenza generale non riguarda solo l'Italia, ma è alquanto trasversale. Come rilevato di recente nell'ultimo rapporto Ilo – l'Organizzazione internazionale del lavoro – i trend positivi che hanno riguardato i paesi industrializzati negli ultimi anni si prevedono ora rallentare nell'immediato futuro, analogo discorso per la discesa del numero di lavoratori poveri nel mondo.
Per quanto riguarda l'Italia, la percentuale di adulti che non riesce a trovare lavoro si attesta tra il 9% e il 13%, stesso range per Francia e Portogallo, ma ben al di sopra del 4-6% della Germania. Peggio di noi fanno Grecia e Spagna, entrambe con percentuali oltre il 17%. L'occupazione vulnerabile – che comprende tra gli altri i lavoratori autonomi – rappresenta tra il 15 e il 30% degli occupati italiani. Francia, Germania e in questo caso anche Portogallo e Spagna presentano invece valori inferiori al 15%.