Sarà che gli ha cambiato l'esistenza. Sarà che l'ha trascinato fuori dal vortice della camorra. Ma Vincenzo Danise la musica la ringrazia ogni santo giorno del calendario. Da quando, posto davanti alla scelta tra "sistema" e "salvezza", ci dice, "ho scelto la seconda". Quella musica la ama quasi quanto la sua Napoli, croce e delizia di un'adolescenza turbolenta che adesso rivive tra le note di "Partenope tra le onde", un inno alla luce che spazza via il buio dei vicoli dove oggi si continua a sparare e morire.
Alle dieci del mattino, dietro la sua porta c'è un bambino che bussa puntuale due-tre volte alla settimana per rubargli qualche segreto al pianoforte. Vincenzo è felice di accoglierlo, un tempo lo è stato anche lui. Anzi no. Vincenzo è cresciuto troppo in fretta. Ancora troppo piccolo, la strada l'ha mandato dietro le sbarre.
Poi, quasi per caso, la sua vita è cambiata: dietro la sua indole da "scugnizzo", un compositore ha intravisto un grande talento. E ha deciso di coltivarlo, regalandogli la possibilità di salvarsi studiando note e spartiti. Oggi Vincenzo ha imparato che "la musica è condivisione" e vuole condividerla con Tgcom24.
Su Facebook ti conoscono come "Danise Ontheroad". Nel mondo della musica come lo "scugnizzo del jazz". Vincenzo, raccontaci.
Sono un musicista che ama viaggiare. Sono nato a Napoli, nel rione delle Case Nuove, che negli anni è stato il regno dei clan della camorra. Come tanti in quella zona, da ragazzino mi sono trovato davanti a un bivio: entrare nel "sistema", o salvarmi. Ho scelto la seconda, o meglio: la seconda ha scelto me.
Sei un ragazzo fortunato. Come ti sei salvato?
Mi ha salvato la musica. L'ho incontrata per la prima volta a 6 anni, quando ho iniziato a suonare la chitarra. Poi a 10 ho scoperto anche il pianoforte, ed è stata passione a prima vista. Sono sensazioni che nascono spontanee, le senti dentro. Purtroppo non avevo soldi per pagarmi le lezioni, pensa che a quell'età lavoravo già come pizzaiolo. Sono stati anni difficili quelli.
Difficili per motivi economici o per le "brutte compagnie" che frequentavi?
Ho trascorso quattro anni della mia adolescenza in preda al male, all'aggressività. Mi sono trovato coinvolto, mi arrivavano di riflesso influenze negative. Sono finito in carcere, ma una volta uscito sono rinato. Ho aperto il giornale degli annunci, ho cercato un lavoro e ho deciso di cambiare vita. In quel momento la musica mi è venuta a cercare, mi ha preso per mano e mi ha tirato definitivamente fuori dal tunnel.
Quanti anni avevi quando è successo?
Neppure 15. Un giorno stavo lavorando in un circolo nautico a Posillipo. Ad un certo punto mi chiedono di lasciare il vassoio e mettermi al piano per intrattenere i clienti. Musica (e non fortuna) volle che tra loro ci fosse Roberto De Simone, compositore e fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Si avvicina, mi dice che ho talento e che devo assolutamente studiare. Mi indirizza allora dalla maestra Miriam Longo, che inizia a prepararmi gratuitamente. Non è stato il caso, è stato un segno. Da quel momento non ho più lasciato la musica.
Com'è cambiata la tua vita?
Sono entrato in conservatorio per merito, non ho dovuto pagare nemmeno la retta. A differenza degli altri però, non avendo soldi per comprarmi il pianoforte, cercavo di accaparrarmelo durante le ore buche infilandomi nelle aule vuote. Con le unghie e con i denti ho ottenuto quello che volevo, la laurea. Poi ho iniziato a girare l'Europa e a suonare con tanti jazzisti: Billy Hart, Renaud Garcia-Fons, Eddie Gomez, Massimo Moriconi. La musica ti porta ovunque, ma l'anima rimane sempre quello dello "scugnizzo".
Ecco perché questo nome d'arte.
"Scugnizzo del jazz" non l'ho scelto io, me l'hanno "affibiato". Ma descrive perfettamente il mio modo di essere. In questi anni ho realizzato tanti progetti che hanno sempre avuto a che fare con la strada. Ho rimosso le mie esperienze passate ma incosciamente me le sono portate dietro, le ho accettate e trasformate in arte. A 30 anni ho comprato finalmente un pianoforte e adesso mi diverto a portarlo in giro per le piazze di Napoli e a suonare il jazz tra la gente. Ecco perché "Danise on the road".
Lo hai suonato anche per l'anniversario di Pino Daniele sul lungomare.
Sì, è stato un momento di pura magia. Il mare, le canzoni di Pino, il pianoforte, il calore della gente. La musica è condivisione, è di tutti. Chi può, deve suonarla. È a questa logica che risponde la mia campagna #occupypiano: suonare ovunque ci sia un pianoforte libero. In stazione, in un locale, per strada e anche dove non si può. Con l'iPad allo stadio o con un cellulare in aereo, per esempio.
E adesso la musica dove ti sta portando?
In Brasile, dove presenterò il mio nuovo disco, Saravà. Questo nome nelle culture afro-brasiliane ha un significato molto profondo ed è utilizzato come mantra: Sa indica la forza di Dio, Ra il movimento, Va la natura e l'energia. Saravà vuol dire dunque "forza che muove la natura", è un inno alla gioia e alla fratellanza. Ma sopratutto, alla musica.