Nell'Inclusive growth and development del WEF (acronimo che sta per World Economic Forum) l'Italia non occupa una buona posizione: nella classifica stilata nel rapporto, che valuta i Paesi avanzati per “la crescita inclusiva” – ovvero la capacità di ridurre le disparità di reddito e favorire l'inclusione sociale –, l'Italia occupa il 27esimo posto su 30.
Tanti sono i fattori che penalizzano il nostro Paese, del resto. Tra questi il WEF indica anche “un altro rapporto debito/PIL che pesa sulle future generazioni”. Le ultime statistiche disponibili rivelano che, a novembre 2016 – i dati sono stati diffusi dalla Banca d'Italia –, il debito pubblico è cresciuto rispetto al mese precedente di 5,6 miliardi, raggiungendo i 2.229,4 miliardi di euro.
Eppure il rapporto tra il debito e il Prodotto interno lordo dovrebbe ridursi (leggermente) nel corso del 2017, pur restando al di sopra dei livelli registrati nel 2015. Analizzando i documenti programmatici di bilancio dei principali Paesi europei, l'Ufficio parlamentare di bilancio – un organismo indipendente costituito nel 2014 con il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del governo – sottolinea che, in Italia, lo stock di debito in rapporto al PIL nel 2017 dovrebbe ridursi rispetto al 2016 ma sarà ancora pari al 132,6%, quindi leggermente superiore (di 0,3 punti percentuali) a quello registrato nel 2015 (secondo la Commissione europea, il rapporto debito-PIL dell'Italia passerà dal 133% del 2016 al 133,1% del 2017 per restarvi anche nel 2018).
Eppure ridurlo ulteriormente offre dei benefici: nel Rapporto sulla finanza locale, la Cassa depositi e prestiti (CDP) sostiene che gli effetti positivi degli investimenti pubblici tendono a perdere la loro efficacia – il capitale pubblico ha un impatto positivo sulla crescita della produttività, si legge nel report – quando il rapporto tra il debito pubblico e il PIL si avvicina all'80%, per poi diventare definitivamente negativi una volta oltrepassata tale soglia.
Restarne al di sotto, senza rinunciare agli investimenti pubblici, diventa fondamentale. Secondo la CDP, una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL pari al 5% all’anno – il target previsto dal Fiscal Compact – consentirebbe all’Italia di tornare, nell’arco di dieci anni, a un livello di debito pienamente compatibile con un effetto positivo del capitale pubblico sulla crescita dell’economia.