Nonostante le politiche monetarie espansive messe in campo dalla Banca centrale europea, nel corso del 2016 i prezzi al consumo dell’Italia sono scesi nuovamente, portando la media annua al -0,1%: la prima variazione negativa dal 1959, quando si registrò un -0,4%.
Al contrario, l’inflazione di fondo (calcolata al netto degli alimentari freschi e dei prodotti energetici) si conferma in territorio positivo, attestandosi al +0,5%, rallentando però rispetto al +0,7% registrato l’anno precedente.
Positivo anche il dato relativo al solo mese di dicembre. Secondo le rilevazioni dell’Istat, infatti, l’ultimo mese dell’anno ha registrato un aumento dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) al lordo dei tabacchi, pari al +0,4% rispetto a novembre e una crescita dello 0,5% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, confermando le stime preliminari e lasciando quindi intravedere qualche segnale positivo.
Nel corso del 2017, secondo le stime, i prezzi al consumo potrebbero tornare a crescere. Nelle prospettive per l’economia italiana, l’Istituto nazionale di statistica ha infatti spiegato che già a partire dai primi mesi “del 2017 si prevede una ripresa dell’inflazione con un'intensità più marcata nella seconda parte dell’anno”. Una ripresa che sarà dettata in larga parte dall’aumento dei prezzi delle materie prime, in particolare di quelle energetiche.
Già le stime della Confcommercio sembrerebbero confermare la lenta ripresa dei prezzi al consumo: secondo le previsioni contenute nell’ultimo resoconto Consumi&Prezzi a gennaio i prezzi al consumo dovrebbero registrare un +0,2% rispetto a dicembre 2016 e un più marcato +0,9% rispetto al gennaio scorso, mettendo a segno l’aumento più marcato dal settembre del 2013.
Allargando lo sguardo, le stime per l’intera Eurozona - dove si è registrata una crescita dei prezzi al consumo dell’1,1% a dicembre 2016 e dello 0,2% per l’intero anno – indicano un aumento dell’inflazione dell’1,5% sia per il primo trimestre del 2017, che per il secondo trimestre (contro il +0,7% registrato nel quarto trimestre del 2016) avvicinandosi pian piano al 2% auspicato dalla Bce.
Se non in Italia, almeno nell’area Euro sembra quindi essersi allontanato lo spettro della deflazione. Una buona notizia perché, al contrario di come possa sembrare più logico pensare, prezzi bassi comportano un ristagnamento dei consumi: mentre con l’innalzamento dei prezzi i consumatori sono portati ad acquistare i beni di cui hanno bisogno per paura che i prezzi possano salire ancora, in una fase deflattiva si tende a rimandare tali acquisti, tentando di accumulare liquidità nell’attesa di un ulteriore discesa dei prezzi.