I consumi delle famiglie sono ancora lontani dal periodo pre-crisi (29 miliardi in meno) ma i costi fissi e del lavoro non calano così i punti vendita di quartiere continuano a chiudere a tutto vantaggio dei grandi centri commerciali. La Confcommercio ha assistito, infatti, alla chiusura di 25 469 negozi in quest’ anno che volge al termine. I numeri delle vendite, elaborati su dati Istat, mostrano lunghi periodi di profonda crisi, soprattutto per le imprese del commercio tradizionale e per il comparto non alimentare in genere.
Il commercio su piccole superfici ha cumulato tra il 2010 e il 2016 una riduzione del venduto in valore di 10 punti percentuali con un calo del 1,9% per i prodotti alimentari e un calo molto importante per il genere non alimentare: -7,9%.
Ma non è la grande distribuzione ad essersi accaparrata la diminuzione a scapito delle attività di quartiere. I dati dimostrano, infatti, che anche per i grandi negozi nel non alimentare la contrazione delle vendite è rilevante, pari al -5,4% dal 2010 a oggi. Ci sono solo i discount a segnare un segno più significativo: +13,9% è l' aumento cumulato, con percentuali di crescita sempre maggiori ogni anno fino al 2015. Un altro segno, dunque, della propensione e della necessità di risparmio degli italiani.
Il presidente di Confcommercio, Maurizio Violi, ha dichiarato: "Nel 2016 quasi 15mila negozi di commercio al dettaglio hanno abbassato la serranda nel centro-nord dello Stivale, 10 mila nel Sud e nelle isole. Dal 2007 ad oggi il numero di esercizi commerciali è diminuito di quasi 91mila unità: ha chiuso per crisi un negozio su dieci. Se si continua così tra 10 anni l' Italia sarà un Paese senza i negozi di vicinato".
Le eccezioni - Gli unici ad aver visto la ripresa dopo il 2010 sono i servizi (+1,7%) e i beni durevoli (+0,6%). Gli italiani sono tornati, dopo anni, a fare quindi le grandi spese che non potevano più essere rimandate, come l' automobile o l' arredamento. Ma la spesa di tutti i giorni è ferma come evidente dal tracollo di beni semidurevoli, come abbigliamento, calzature e libri (-9,5%) e beni non durevoli, come i detergenti o i medicinali (-7,4%). In particolare, i segni negativi più pesanti nel confronto dal 2010 a oggi sono segnati da libri giornali e riviste (-17,7%), seguiti da elettrodomestici, radio, tv e registratori (-15,6%). Si spende meno anche per la telefonia o l' informatica (-12,8%), per le calzature (-11,1%), per la fotografia (-10,7%).