Sentenza, Tuco, il biondo, Bill Carson, i campi lunghissimi sul deserto, il triello al cimitero di Sad Hill e una tomba contenente duecentomila dollari: è difficile scegliere una singola scena, un fotogramma, una frase per comunicare cosa ha rappresentato Il Buono, il Brutto, il Cattivo per la storia del cinema e della cultura italiana (e non). Sono passati esattamente cinquant'anni dall'uscita nelle sale del capolavoro di Sergio Leone, il 23 dicembre 1966. Da allora è stato celebrato come la quintessenza dello spaghetti-western, che ha portato i saloon e le gesta dei cacciatori di taglie in riva al Mediterraneo. Con il faccione "sigarato" di Clint Eastwood impresso nella memoria collettiva, per sempre.
Girato sulla scia del successo degli altri due capitoli della Trilogia del Dollaro (Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più), il film ha consacrato definitivamente Clint Eastwood (nella parte del Buono), affiancato da Lee Van Cleef (il Cattivo) ed Eli Wallach (il Brutto). Oltre che per i personaggi e la trama, la pellicola del maestro Leone ha fatto epoca anche per il montaggio, le riprese e, soprattutto, per la colonna sonora. Impresa facile, quando a comporre le musiche c'è un signore che si chiama Ennio Morricone.
Dagli Usa all'Italia: la storia del cinema western - Il western come genere cinematografico è nato, si può dire, con il cinema stesso: capostipite della "famiglia" è considerato The Great Train Robbery, un film muto del 1903 diretto da Edwin S. Porter ed interpretato dall'iconico Broncho Billy Anderson. L'età d'oro arriva però grazie alle opere di due registi in particolare: John Ford (soprattutto grazie a Ombre rosse) e Howard Hawks. Negli Anni Sessanta il genere viene "reinventato" in Italia, arricchendosi di una violenza più efferata rispetto agli esempi di Hollywood e materializzando l'idea di un (angolo di) mondo dove il dollaro è il motore di tutte le azioni umane.