Una pistola gettata in un letto d'acqua in un'ansa valdostana, proprio mentre la tua cagnetta ti osserva interdetta; e un killer spietato - al quale, pare, hai ammazzato il fratello il quale aveva trucidato tua moglie - ti sta sul collo. Il suddetto finale di Rocco Schiavone (Raidue, mercoledì prime time), fiction sul Philip Marlowe dei vicequestori italiani, è deludente quanto la crisi di governo. Ma, ad onore del vero, è l’unica cosa deludente dell’intera serie.
Il resto dell’ultima puntata è stato un adrenalico avvicendarsi di situazioni estreme: l’omicidio barbaro dell’amica Adele, la ricerca in stile quasi mafioso dell’omicida Enzo Baiocchi; il riaffiorare prepotente del ricordo della raffica di piombo sulla moglie di Schiavone (la quale, affiora sempre ogni fine puntata, in stile spettro shakespeariano); gli amici sbirri che aiutano l’eroe stizzoso nella vendetta personale, e all’insaputa dei superiori, peraltro paranoici nel loro esasperato senso del dovere («siamo due disperati, dottore, non so chi di noi due sta meglio...»). Rocco Schiavone è la vera sorpresa di stagione della fiction seriale italiana.
C’è della poesia antica in Schiavone. C’è Marlowe, appunto, ma pure il commissario Ingravallo di Gadda, o il commissario Betti dei film di Maurzio Merli, o persino un pizzico del cinismo di Montalbano. Schiavone è il poliziotto che fuma in ogni ambiente possibile - compresi gli spinelli all’alba, «la preghiera laica del mattino» -; che t’infila la pistola sotto le narici senza pensarci troppo; che si muove con piglio burbero alla Bogart, sempre in Loden e Clark; che, nonostante una vischiosa solitudine e il cuore tenero, si fa almeno una donna in ogni puntata, esclusa una vecchietta con l’Alzheimer, ma compresa una prostituta di lusso a 400 euro a botta che non so ancora se mette a piè di lista del commissariato. Tratto dai bestseller di Antonio Manzini, il personaggio interpretato da Marco Giallini rimane uno dei migliori sulla piazza. Il suo 13% di share con 3 milioni di spetattori è strameritato. Onore anche a Ilaria Dallatana, direttore di Raidue che sta riattivando e riconvertendo il pubblico della rete (anche con altre novità: il programma di Mika, o lo stesso Nemo ottimo nella stesura giornalistica e in continuo miglioramento). Rimane un finale del cavolo, incompresibile. Se non si pensasse - ovvio - a una necessaria seconda serie...