Robbie Williams è tornato. E lo ha fatto con "The Heavy Entertainment Show", un album che sin dal titolo rivela la sua natura di intrattenimento ad alti livelli, con canzoni dal grande impatto melodico che riportano al periodo di maggior successo dell'ex Take That. "Sul mio passaporto prima di cantante c'è scritto intrattenitore - dice lui -. Avrei voluto essere i Radiohead ma non era possibile: nel mio dna c'è il cabaret".
E' una delle ultime popstar dell'età dell'oro (70 milioni di copie vendute, quando ancora i dischi si vendevano più del pane) e allo stesso tempo è stato capace di traghettarsi con successo immutato da una generazione all'altra. Se Robbie si è scrollato di dosso il pregiudizio del belloccio da boy band è stato grazie a un carisma fuori dal comune, a un eclettismo che lo ha portato dal pop più classico allo swing passando per il brit pop, e alla collaborazione con autori di peso. Solo in quest'ultimo album si trovano cantautori di culto come Rufus Wainwright e John Grant, alfieri del rock con maggiori nostalgie 80's come Brandon Flower dei Killers, nuovi fenomeni della scena britannica come Ed Sheeran. Ma soprattutto c'è Guy Chambers, il braccio destro di Robbie in tutti i momenti più alti della sua carriera solista. "Non è solo il mio co-autore, lo considero un fratello - spiega -. Con lui ho fatto cinque album. Poi per i miei dubbi, per il poco rispetto che avevo per me stesso, ho voluto demolire tutto e ripartire. Mi sono chiesto perché la gente amasse i miei dischi e dopo quei primi lavori ho voluto sperimentare, non scrivere hit. Solo in una cosa sono riuscito bene: non scrivere hit".
Invece questa volta l'obiettivo dichiarato era tornare a scriverle quelle hit. Anche se con un taglio autorale che può accogliere citazioni di Sergei Prokofiev o Serge Gainsbourg. "Ho lavorato duro per fare un disco dall'alto potere commerciale - dice il cantante -. Una volta finito mi sono reso conto che era proprio così... se fossimo stati nel 2003! In realtà non è uguale a nulla di ciò che si sente in radio oggi. Poi sono arrivate alcune recensioni che mi hanno stroncato ed erano identiche a quelle di quando vendevo milioni di copie e quindi... evviva!".
Nel pezzo di apertura, che dà anche il titolo all'album, torna prepotentemente il concetto di "entertainer" che accompagna Robbie da sempre, a partire da "Let Me Entertain You", brano presente nel primo album solista "Life Thru A Lens" e che da allora ha quasi sempre aperto i suoi concerti. In qualche modo un cerchio che si chiude ma anche un'affermazione della propria essenza. "Sul mio passaporto prima di autore o cantante c'è scritto 'entertainer' - sottolinea -. Con i miei spettacoli voglio intrattenere il pubblico. All'inizio della carriera volevo essere i Radiohead ma era chiaro che non avrei mai potuto esserlo, nel mio dna c'è il cabaret".
Il lato istrionico da una parte e quello romantico, di "Angels" per intenderci, dall'altra. Che anche in questo nuovo lavoro ha un peso importante concentrato nel brano "Love My Life", secondo singolo dopo il giocoso e ironico "Party Like A Russian". "Era nata come una canzone su me stesso - spiega - ma poi mi sono venuti i dubbi. Ok che sono un narcisista ma andare sul palco a cantare "sono forte, sono bello" sembrava troppo persino a me. A un certo punto ho pensato che nel pre-ritornello si potesse fare in modo che fossero i figli a dirlo. Da canzone narcisitistica qual era è diventata una canzone sui miei figli".
I figli. Uno degli elementi che ha fatto sì che Robbie, naturalmente incline agli eccessi, tornasse in carreggiata dopo periodi sull'otto volante tra euforie e depressioni. "Come sono guarito? Ho trovato i farmaci giusti! - dice sornione -. Sembra buffo da dire, ma è vero! Però ho trovato anche mia moglie e i miei figli. Ho una personalità dipendente, vivo tutto all'ennesima potenza. Ho spostato questa disfunzione sulla famiglia. Prima avevo il mega successo ma stavo male. Oggi sono un papà che va al lavoro anche per la sua famiglia. Sono in pace con me stesso e sono felice".