Nelle zone colpite dal terremoto nel centro Italia la Coldiretti avvisa che quasi 3mila aziende locali sono a rischio. I comuni nel Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo hanno riportato gravi danni nelle campagne dove sono presenti per lo più fattorie e allevamenti con più di 100mila animali tra mucche, pecore e maiali. La Coldiretti Marche ha diramato "un appello agli agricoltori associati di tutta Italia e a tutti gli altri per l’invio immediato di roulotte e camper".
"Il terremoto ha colpito un territorio a prevalente economia agricola con una significativa presenza di allevamenti che occorre ora sostenere concretamente per non rassegnarsi all'abbandono e allo spopolamento", ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. L'analisi effettuata sulla situazione del territorio evidenzia molte emergenze: gli animali necessitano di assistenza, devono mangiare ed essere munti almeno due volte al giorno dagli allevatori.
Anche per questo gli abitanti delle zone non vogliono allontanarsi: oltre alle loro case dovrebbero abbandonare gli animali e le aziende, unica fonte economica. Infatti la Coldiretti ha affermato: "Numerosi moduli abitativi sono stati consegnati nelle aree più colite dal terremoto del 24 agosto, ma ora occorre affrontare una nuova emergenza". Le scosse hanno danneggiato, una dopo l'altra, tutto quello che c'era: "Servono ricoveri sicuri per il bestiame con stalle, fienili e casolari lesionati, distrutti o inagibili", precisa Monclavo.
Oltre il 90% delle aziende agricole sono di tipo familiare, condotte direttamente dal coltivatore, mentre gli agriturismi nei comuni dell'Umbria hanno molta importanza con una presenza del 33%, soprattutto a Norcia con il 50% e a Preci, 75%. Il sistema economico locale offre posti di lavoro ad almeno 10mila persone producendo eccellenze gastronomiche conosciute in tutto il mondo. Le lenticchie di Castelluccio, il pecorino, il vitellone bianco, i salumi rischiano di non essere più prodotti per molto tempo.
Nella sola città di Norcia erano presenti almeno 800 aziende agricole e alimentari che davano lavoro a 1500 persone, di cui mille a tempo pieno. "Ora, invece, rischiano di chiudere per sempre", spiega Monclavo, "se non si creano le condizioni per restare sul posto, garantendo vivibilità e operatività per accudire il bestiame e dare continuità alle attività produttive".