Venti tra le più importanti foto di Mario Giacomelli saranno in mostra fino al 28 novembre presso lo Studio Guastalla Arte Moderna e Contemporanea di Milano. Il titolo dell'esposizione "E la terra veniva come magica" anticipa al visitatore la dimensione artistica che il fotografo ha da sempre voluto immortalare con i suoi scatti. Infatti nei suoi appunti di lavoro scriveva Giacomelli: “La mia è una mediazione tra realtà-fantasia".
Le immagini dall'artista, appartenenti ai cicli più celebri da Scanno ai Pretini ai Paesaggi, sono da lui stesso definite "immagini volute, create, come pensiero, come segno di un movimento interiore”. Il fotografo, infatti, non si è mai limitato a ritrarre la realtà ma ho voluto creare un mondo a parte, unico, che poi veniva fermato nel tempo dal suo obiettivo.
Giacomelli, infatti, diede ai suoi soggetti precise istruzioni che loro doveva eseguire alla lettera: i seminaristi dovevano scatenare una battaglia di palle di neve a Senigallia, i contadini erano obbligati ad arare i campi secondo tracce precise, anticipando la Land Art, persino sua madre era costretta a rimanere immobile in posa.
Così le immagini diventano intrecci di significanti che riportano il singolo soggetto all’interno di un tutto indiviso, di un universale, di una serie di interrelazioni che collegano i solchi nella terra alle rughe dei volti alle fenditure dei tronchi. Attraverso queste indistinte connessioni il fotografo entra nei suoi stessi scatti: “Non vorrei ripetere le cose visibili, ma renderle visibili, interiorizzate, vorrei poter scivolare sotto la pelle delle cose, poter mostrare l’energia che passa tra l’anima mia e le cose che mi sono attorno”.
E' proprio per mostrare questa energia che Giacomelli tende a sovrapporre, ristampare e riutilizzare le foto cercando di dar loro molteplici significati. Come lui stesso scrive: "Nella terra c’è il passare delle stagioni e l’uomo man mano che respira…dalle mie foto si deve sentire; ci sono le rughe del suo volto, ma anche i segni della sua mano".
In questo modo la terra diventa la mano del contadino così come i solchi dell'aratro si trasformano nelle rughe della mano per dare voce alla incessante ricerca interiore dell'artista. Giacomelli stesso scriveva: "Il contadino quando c’era un albero, con il suo animale avanti che lavorava la terra, faceva un po’ una curva con l’aratro e quindi aggiungeva segni e la terra veniva con magica".