"A volte per crescere bisogna farsi male, rinunciare a un pezzo di sé stessi". E' con questa premessa che, davanti a una birra, il regista Edoardo De Angelis racconta a Tgcom24 la genesi di Indivisibili, pellicola apprezzata alla Mostra del Cinema di Venezia e tra le sette papabili candidate all'Oscar. Accanto a lui ci sono Angela e Marianna Fontana, due giovani sorelle napoletane che nel film interpretano le gemelle siamesi Dasy e Viola.
La loro è una storia che parla di sogni, ansie, paure, incertezze. Dasy e Viola sono costrette a esibirsi in feste e matrimoni per mentenere la famiglia, che ha fatto della loro menomazione una macchina da soldi. Agli occhi di tutti sono fenomeni da baraccone, dentro le quattro mura della loro stanzetta sono piccole donne con le ali tarpate. Quando i riflettori si spengono, corrono sulla sabbia, cadono e si rialzano insieme, come sempre. La vita le ha fatte nascere attaccate per il bacino, un incontro casuale potrebbe restituirgli la libertà di bere del vino senza temere che l'altra si ubriachi.
Da dove nasce l'idea di raccontare la storia di due gemelle siamesi?
Dal voler raccontare la separazione e tutto quello che comporta. E' un sentimento che riguarda tutti noi che viviamo tanti tipi di distacco: separazione dai genitori, dagli amici, dal fidanzato, dai fratelli. Soprattutto ognuno di noi ha sperimentato almeno una volta la separazione da se stessi. Questo è un tema universale e riguarda l'uomo da quando esiste.
Ma loro sono "Indivisibili"...
Il cinema è un'arte che richiede la sintesi in un'immagine. Due gemelle siamesi già cresciute, che sono il fulcro dell'equilibrio di un'intera famiglia e che però scoprono di potersi separare, sono l'immagine perfetta per raccontare questo sentimento. Cosa fare? Accettare ancora la comodità di un'esistenza tutto sommato con le ali tarpate, oppure gettarsi nel buio, nell'inedito? La libertà è pericolosa: richiede integrità, dignità e verità.
A proposito di verità: Dasy e Viola sono esistite per davvero?
Sì, le protagoniste del film sono ispirate alle leggendarie gemelle Hilton, vissute nei primi del Novecento tra l'Inghilterra e l'America attraverso vari circhi e diventate fenomeno da baraccone. Come le mie Dasy e Viola cantavano, suonavano e avevano un'esistenza che hanno considerato tutto sommato felice fin quando è stata in auge l'epoca d'oro dei baracconi, perché erano star. Il punto è: si diventa tali per una particolarità o per una menomazione? Cosa accade quando le luci si spengono?
Come mai hai scelto proprio Angela e Marianna per interpretare i loro ruoli?
Le conoscevo. Loro hanno una biografia molto vicina a quello del racconto, perché sono due sorelle molto unite, condividono la passione per il canto, sono siamesi a livello emotivo e sentimentale. Hanno un legame indissolubile, quindi potevano non solo interpretare, ma comprendere a fondo gli elementi in gioco in un racconto del genere.
Angela e Marianna, voi come avete reagito quando vi è stato proposto di fare questo film?
Abbiamo sentito subito qualcosa nello stomaco. Dopo aver visto il documentario sulle sorelle Hilton volevamo andare già sul set per interpretare questi due personaggi. Eravamo entusiaste all'idea, tutti i giorni dalla mattina alla sera stavamo sempre attaccate a correre e camminare.
Siete entrate subito nella parte quindi.
Sì, dopo che facevamo gli allenamenti con Edoardo a casa ci comportavamo proprio come Dasy e Viola, come se nella nostra stanza ci fosse la telecamera. A volte facevamo i loro stessi discorsi, anche davanti ai nostri genitori o alle persone estranee, per capire quali sensazioni provavano le Hilton. Il ritmo di alcune scene richiamava tante cose nostre, abbiamo sentito questo film al 100%. Ci siamo anche allenate fisicamente per imparare a stare attaccate. Siamo partite con delle buste di plastica, poi ci siamo esercitate a camminare in modo molto naturale, ma c'è voluto un po' di tempo prima di acquistare una sincronia perfetta.
Edoardo, il tuo legame con il territorio è abbastanza forte. E' per questo che hai utilizzato il dialetto napoletano?
I personaggi si devono esprimere con la lingua del luogo dove il film è ambientato. Sono contrario all'emigrazione delle produzioni, è un discorso che non mi interessa, depaupera il cinema e la verità del racconto. Se io ambiento un film a Castel Volturno la gente deve parlare napoletano, perché bisogna cogliere in profondità la verità dei personaggi, contestualizzarla. Più sono radicati nel luogo dove il film è ambientato, più possono esprimere un sentimento universale.
Ma come mai proprio Castel Volturno?
Perché è emblematica di un'estetica in bilico tra bellezza e bruttezza. Questo luogo è stato bello, ma è stato martoriato dal terremoto, dall'inquinamento, dallo sfruttamento. Anche Dasy e Viola sono un corpo bello martoriato dallo sfruttamento. L'estetica del luogo deve riflettere quella del personaggio.
Angela e Marianna, voi come siete nella vita reale?
Abbiamo sempre avuto questo legame così forte, sentiamo il bisogno di stare vicine. D'altronde chi può capirti meglio di una sorella, oltretutto gemella. Poi nella vita la crescita porta alla separazione, ma ci sarà sempre quell'affinità mentale che porterà a incontrarci.
Questa era la vostra prima esperienza sul set, come l'avete vissuta?
Il set è diventato una famiglia, tutti erano molto coinvolti nella storia. E' diventato un lavoro di squadra, quando facevamo un ciak sentivamo l'energia di tutti, non eravamo mai sole. Le uniche che non avevano esperienza eravamo noi, ma ci hanno messo a nostro agio.
E com'è stato rivedervi sul grande schermo?
La prima volta che abbiamo visto il film è stata un'emozione unica, l'abbiamo visto alla Mostra del Cinema di Venezia. La libertà in cosa consiste? E' quella di esprimersi senza farsi influenzare, fare ciò che si vuole senza la preoccupazione di essere giudicati dagli altri. La libertà è inseguire il proprio essere, i propri ideali, i propri valori, distinguersi dalla massa.
Edoardo, alla Mostra del Cinema di Venezia la critica è stata molto positiva. Il pubblico, invece, come ha risposto?
Toronto, Napoli e Venezia hanno risposto allo stesso modo. Questo è confortante, perché la scommessa di fare un film così, con questo linguaggio cinematografico, si portava dietro una serie di legittime preoccupazioni anche da parte del distributore rispetto alla possibilità di coinvolgere emotivamente gli spettatori non provenienti dal Sud dell'Italia. Il punto è essere in grado di riuscire a esprimere una sensibilità popolare. L'arte si deve esprimere con un segno così potente da essere incontrovertibile, deve travalicare i confini geografici. Per poterlo fare, deve essere autentica. Per potere essere autentica, deve andare a fondo.