Estratto da "Una storia italiana" pubblicato nel 2001 da Forza Italia
24 marzo 1986. Tre mesi dopo aver salvato la società dal fallimento, Silvio Berlusconi fa il suo ingresso ufficiale nell'azionariato del Milan. È l'inizio di una nuova epopea sportiva destinata a proiettare i colori rossoneri ai vertici del calcio mondiale. Ma per lui, per il Presidente che unendo capacità manageriali e competenza sportiva avrebbe portato in via Turati - la storica sede del Milan - sei scudetti e coppe in quantità industriale, quella data segna anche il coronamento di un sogno antico.
Certo, al momento di prendere il timone del Club e di avviarne la rifondazione, Berlusconi è ritornato con il pensiero al "suo" primo Milan, quello dei Carapellese, dei Puricelli, dei Tosolini, quello di cui si era innamorato negli anni dell'immediato dopoguerra. Si trattava di un Milan "minore", ma agli occhi del tifoso bambino rappresentava comunque qualcosa di meraviglioso, un patrimonio di affetti da difendere strenuamente nel corso di accese discussioni con i compagni di scuola, interisti o juventini che fossero.
E poi a casa, finiti i compiti, c'era sempre il tempo di parlarne con il padre, di commentare l'ultima partita, di provare a immaginarsi la successiva: "Vedrai papà, vinceremo, dobbiamo vincere...". Fino alla domenica, quando - finalmente - il sogno chiamato Milan poteva tradursi in realtà sul campo. Ed ecco emergere altri ricordi: il percorso fino allo stadio (l'Arena o San Siro) mano nella mano con papà, la coda davanti ai cancelli e lui, Silvio, a farsi piccolo piccolo per poter entrare con un solo biglietto in due.
Il Milan? È un affare di cuore, costoso, ma anche le belle donne costano
I successivi novanta minuti venivano vissuti con il cuore in gola, tra gli abbracci per ogni goal dei rossoneri e lo sconforto quando le cose non giravano per il verso giusto. Ma anche in quei casi, papà Luigi sapeva trovare le parole giuste per consolarlo: "Niente paura, domenica prossima ci rifaremo". Già, ci rifaremo... Quante volte Silvio Berlusconi avrà ripensato a quelle parole nei momenti dei grandi trionfi che hanno contraddistinto i suoi quindici anni di Presidenza: la Coppa dei Campioni a Barcellona, e poi Vienna, Tokio, Atene... Tappe di una storia di successi ottenuti anche grazie alla perfetta organizzazione societaria che ha fatto del suo Milan un modello da imitare per tutto il calcio internazionale.
"Ho sognato di vincere la Coppa dei Campioni - ha detto Berlusconi - ma ho anche immaginato in quale modo, con quale stile questa vittoria andava conquistata, al termine di quale percorso. La nostra non è stata soltanto la vittoria di una squadra di calcio, ma è stata la vittoria di quei valori in cui tutti abbiamo fortissimamente creduto: la dedizione alla causa comune, l'altruismo e la perseveranza, la capacità di sacrificio, la lealtà contro gli avversari, l'attenzione spasmodica a ogni dettaglio. Dovevamo vincere ma anche convincere. Con un gran gioco, rispettando gli avversari ed entusiasmando i nostri tifosi".
Ce l’avrei io l’allenatore giusto: Berlusconi
L'avventura del Milan di Berlusconi è anche una storia di formidabili allenatori. Strateghi della panchina scelti dal Presidente non solo per le loro qualità tecniche, ma anche e soprattutto per la capacità di aderire pienamente alla "filosofia-Milan", ovvero all'ambizioso progetto manageriale e organizzativo che ha fatto del club e della squadra rossonera un esempio da imitare. L'era Berlusconi risulta segnata in modo indelebile da due allenatori: Arrigo Sacchi e Fabio Capello. Entrambi votati a un calcio moderno e spettacolare, i due rappresentarono altrettante "scommesse" volute, e vinte, dal Presidente.
Quando approda al Milan, nell'estate dell'87, Sacchi non ha esperienza a livello di serie A. Silvio Berlusconi lo chiama a Milano da Parma sfidando lo scetticismo generale, con una di quelle sue famose intuizioni che ne hanno contraddistinto la carriera d'imprenditore. Mai idea si rivelò più azzeccata: Sacchi non solo porta il Milan a primeggiare in Italia, in Europa e nel mondo, conquistando due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali, ma con i suoi schemi innovativi fortemente sostenuti dal Presidente impone a tutto il calcio italiano una svolta a 180 gradi, trasformandolo da difensivo in offensivo in omaggio alla spettacolarità del gioco.
Mio padre diceva che ho il Milan tatuato sul cuore. E non ho alcuna intenzione di fare un trapianto
La scommessa su Fabio Capello è altrettanto azzardata, ma - ancora una volta - risulta vincente. Dopo quattro anni di trionfi ininterrotti sotto la guida di Sacchi, la squadra viene ritenuta ormai al capolinea dalla stampa sportiva. Ma Berlusconi non lo crede. È convinto che quel gruppo di giocatori abbia ancora molto da dare ai tifosi rossoneri e a tutto il calcio italiano. Occorrono nuovi stimoli. Il Presidente individua in Capello, che dirige i ragazzi del vivaio milanista, l'uomo giusto per mantenere la squadra ai vertici. Detto fatto.
Il Milan di Capello diventa il Milan degli "Invincibili", si aggiudica quattro scudetti in cinque anni e raggiunge per tre volte consecutive la finale di Champions League, firmando il suo capolavoro nel 1994 ad Atene, quando stravince sul Barcellona di Cruijff. Meno votata all'offensiva rispetto a quella di Arrigo Sacchi, la squadra di Fabio Capello è imperniata su una difesa di ferro: perde per strada pochissimi punti e stabilisce il primato assoluto di imbattibilità nelle partite di campionato. Un record che rappresenta uno dei tanti fiori all'occhiello di un'epopea calcistico - imprenditoriale che non ha eguali nella storia del calcio: quella del Milan di Silvio Berlusconi.