L'orgoglio ferito di Milano
L'editoriale su "Il Giornale" del direttore di Tgcom24 Paolo Liguori
Milano è indietro! Impensabile, incredibile, orribile, mai successo nell’ultimo quarto di secolo in Italia. Eppure, è così. L’affermazione si riferisce all’andamento delle vaccinazioni, che però, in questo momento è il fulcro dell’emergenza nazionale. Il governo Draghi scommette sulle vaccinazioni – tempo e quantità- l’Europa è altrettanto frenetica e Milano e la Lombardia, abituate ad essere sempre all’avanguardia, sono pericolosamente indietro. C’è chi la butta in politica, chi lancia accuse e chi si difende, ma qui il fatto è più grande e più grave, va molto oltre alle singole responsabilità. Non scherziamo con le cose serie: Ricordate Giulio Gallera? Hanno scritto che era tutta colpa sua, ma non era vero, oggi cerchiamo di non moltiplicare lo stesso errore.
Lo sconcerto dei cittadini di una Regione, di una grande città, abituate a camminare sempre in testa al gruppo, a dare l’esempio, ad indicare gli errori e i ritardi altrove, è molto grande, merita una risposta seria, non si può risolvere con una semplice caccia ai responsabili. Il sistema sanitario lombardo ha certamente mostrato le sue piaghe e la pandemia ha fatto da detonatore: è talmente vero che , sotto i colpi del Covid, si sono incrinate molte altre certezze in giro per il mondo. Il mito dell’efficienza tedesca, per esempio, ha subito un duro colpo dopo le parole di scusa della Cancelliera Merkel e dopo l’ammissione che la stessa Germania sta faticando a procurarsi i vaccini, proprio come l’Italia.
Però, Milano e la Lombardia di scuse non ne hanno avute e non si capisce neppure da chi dovrebbero averne. C’è un sottile vento di incertezza che percorre tutto il mondo nell’epoca del Covid, se è vero che, in piena discussione sui possibili disastri ambientali, un vero disastro economico parte e continua da giorni nel Canale di Suez per una causa banale. Il Grande Canale è troppo piccolo per i grandi trasporti di oggi.
Cause oggettive, giustificabili, ma il declino evidente e rapidissimo di Milano e Lombardia è sotto i nostri occhi e coinvolge le istituzioni più diverse. Lasciamo da parte per un attimo la Salute e facciamo un salto in Tribunale, più esattamente alla Procura di Milano. Non sono mai stato un grande estimatore del modo in cui la Procura ha gestito la Giustizia a Milano, sono venuto a lavorare e a vivere in questa città 29 anni fa ed ho avuto sempre argomenti e spazio per criticare la gestione di Mani Pulite di Borrelli, Di Pietro, Davigo e Colombo. Poi, è stata la grande stagione della caccia persecutoria a Silvio Berlusconi e alle sue imprese, dopo che il fondatore decise di entrare in politica. Vicende ben conosciute che, da un esame ormai storico, dipingono la Procura come una Fortezza che si autodefinisce il luogo assoluto del Bene, impegnato nella Lotta contro il Male. Un falso, usato dalla politica, che poteva attrarre, nonostante tutto, molti milanesi, orfani della sinistra.
E oggi? Quella stessa procura sembra un organismo in rotta, dopo aver subito nel processo contro due successivi amministratori delegati dell’Eni una sconfitta senza precedenti. Assoluzione con formula piena, nonostante richieste di condanna altissime e con la Procura Generale che parla apertamente di denaro pubblico sperperato.
Ma il peggio rischia di venire ancora dallo stesso grande vaso scoperchiato da Luca Palamara, sentito di recente a Perugia sulle modalità delle nomine dei Procuratori Aggiunti a Milano. Lottizzazione tra le correnti è la tesi che Palamara documenta con i suoi Sms: sempre politica al comando, come negli anni ruggenti, ma di livello più basso. Come finiscono quasi tutte le avventure rivoluzionarie in un mondo libero, da temibili persecutori a carrieristi spietati.
Torniamo in città nel territorio del Sindaco Sala e qui parliamo di una Milano che usciva fortissima dall’Expo: un simbolo di modernità e di rinnovamento, anche urbanistico, da additare come esempio. In un solo anno di Covid, lo spirito si perde, si corrompe e non soltanto per la scomparsa dentro le case dei dipendenti pubblici e una enorme chiusura degli esercizi commerciali.
La città sembra prigioniera, contratta, addirittura più buia (sarà una forma di risparmio?), ma un Comune come Milano non può restare inerte. E infatti interviene in maniera pesantissima e demenziale, prima con la campagna “Milano non si ferma”, poi sulla viabilità e sul traffico: il centro si riempie di piste ciclabili, che levano spazio al traffico su ruote, che è aumentato inevitabilmente per effetto dell’abbandono dei mezzi pubblici e dei camioncini necessari ad approvvigionare la città. E molti ciclisti interpretano il lockdown come un via libera per circolare senza rispettare il codice della strada. E si moltiplicano in modo esponenziale i monopattini, grande business per qualcuno, ma non per la città, che per tutto l’inverno giacciono abbandonati come spazzatura postatomica.
Dicono che Sala non abbia voluto lo scempio e che sarebbe stato influenzato da due suoi assessori, ma il Sala dell’Expo (e anche quello che avrebbe voluto il ritorno al lavoro dei dipendenti pubblici) forse non avrebbe subito. Quello odierno, invece, annuncia l’abbandono del Pd e si iscrive ai Verdi Europei, scelta criptica.
Su tutto, c’è la sofferenza sanitaria della Regione e della città, con l’emergenza Covid più forte d’Italia. Un anno fa era la disinformazione, il dinamismo, un "caso”, oggi è un "caos”: il sistema informatico autonomo è andato per Aria e ci sono volute le Poste, errori e ritardi si sono accumulate a scelte discutibili sulle categorie da vaccinare (professori universitari, con Università chiuse?) e oggi il lavoro è diventato ancora più difficile per i responsabili. Ne usciremo certamente, perché non si può fare diversamente, ma la frustrazione e l’orgoglio ferito della Lombardia saranno lunghi e difficili da curare.
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