LE STRATEGIE DEL CALIFFATO

New media, social network e reportage: ecco come comunica l'Isis

Verso i musulmani e non: mezzi diversi per target e obiettivi diversi, sfruttando la modernità e le tecnologie del mondo occidentale

Il punto di forza dell’Isis è veramente la violenza? Sicuramente è un tratto peculiare dell’organizzazione terroristica, ma non è tutto. Anzi. Se l’Isis è riuscito a farsi conoscere a livello globale e ad arruolare adepti in ogni parte del mondo significa che ha utilizzato molto bene la comunicazione. E lo ha fatto con mezzi moderni e tecnologici, degni dei loro nemici occidentali.

Diversi modi di comunicare La comunicazione è un elemento fondamentale per lo Stato Islamico e, allo stesso tempo, per capire lo Stato Islamico. L’Isis si serve, infatti, di questo potente strumento per sopravvivere. Oltre ad essere fornito di un ufficio stampa per ogni regione, il califfato cura una comunicazione poliedrica e specifica per diversi destinatari e obiettivi.

Due target diversi: musulmani e non La comunicazione non è diretta solo agli occidentali o ai musulmani che vivono nei nostri Paesi, come invece si potrebbe pensare. L’attenzione riversata sui musulmani è allo stesso modo importante per il califfato che cerca così nuovi seguaci da arruolare, sempre nel nome di Allah e sempre combattendo la fronda meno violenta dell’Islam. Per questo motivo, il messaggio che cercano di trasmettere a tutto il resto del mondo islamico è legato a una missione da portare a termine: proseguire il lavoro iniziato dal loro Messia e dal suo profeta. Verso il mondo occidentale, invece, la comunicazione appare molto più violenta, suggestiva e manipolatoria: l’obiettivo è di incrementare l’odio verso l’Islam e portare così i più deboli ad affiliarsi per paura.

Tre dimensioni diverse: locale, regionale e globale

Tornando a esaminare il modo di comunicare verso i musulmani stessi, si può dire che l’Isis punti molto a identificarsi come uno Stato, uno Stato funzionale, in cui i servizi sono delle eccellenze e lo stile di vita è decisamente migliore rispetto al passato. Inoltre, il califfato distingue tre livelli diversi di comunicazione.

Il primo è la dimensione locale, una vera e propria propaganda diretta agli abitanti dello Stato Islamico, che si pone l’obiettivo di far apparire il governo come la soluzione e la sicurezza rispetto all’incertezza precedente; si sviluppa attraverso manifesti, volantini, brochure turistiche e messaggi radio di facile comprensione per la popolazione.

La seconda dimensione è quella regionale, rivolta soprattutto ai sunniti e ai paesi a maggioranza islamica. A differenza di quanto ci aspetteremmo, i contenuti spesso riguardano combattenti sorridenti, ospedali funzionanti e bambini che giocano; per mostrare ciò sfruttano la Rete, in particolare con la diffusione di brevi filmati, chiamati mujatweets.

Infine c’è l’ultima dimensione, quella globale, rivolta ai musulmani che ormai vivono in Occidente. L’intento è quello di offrire delle risposte a tutti quei seguaci dell’Islam che si sentono smarriti all’interno della civiltà occidentale.

L’utopia di Isis come luogo felice Qualsiasi sia il mezzo o il destinatario dei messaggi, il Califfato vuole mostrarsi come un’isola felice, dove i cittadini vivono nel benessere, dove i servizi non mancano e dove lo stile di vita è eccelso. In verità, “la realtà è ben diversa da quella descritta” – riferisce Matteo Colombo ricercatore dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) – “La situazione è esattamente il contrario perché siamo di fronte a un’organizzazione al cui interno ci sono tantissimi problemi e molte falle ”. L’obiettivo, in sintesi, è quello di realizzare l’utopia di uno stato funzionale. Il tutto semplicemente giocando con la comunicazione.

Comunicazione 2.0 Oltre ad utilizzare i mezzi tradizionali, come Dabiq, il magazine patinato e moderno pensato per un pubblico globale, giovane, radicalizzato e di lingua inglese, l’Isis si serve soprattutto dei new media, in forme anche piuttosto originali e in perfetta sincronia con la civiltà occidentale. Ecco che social network, e-book, videogame e reportage diventano il mezzo principale per attirare nuovi fighters, ognuno con obiettivi e target diversi. Gli e-book, seppur di qualità inferiore rispetto alle altre produzioni in quanto a impaginazione, layout e linguaggio, sono comunque parte integrante della strategia Isis.

La particolarità di questo mezzo è che utilizza spesso informazioni e infografiche che provengono dai media occidentali ricontestualizzate nella prospettiva del califfato. Con lo stesso principio, vengono realizzate serie di reportage, che hanno come protagonista John Cantlie, giornalista inglese rapito in Siria nel novembre 2012 e compagno di prigionia di James Foley, reporter britannico decapitato il 19 agosto 2014. Il prigioniero diventa, dunque, lo strumento della controinformazione del califfato. Controinformazione intesa come sovvertimento delle regole della comunicazione, perché ci troviamo di fronte a una scena che non ci aspetteremmo mai: Cantlie che promuove lo Stato islamico col suo forte accento britannico. La scena sembra reale e credibile, nonostante la consapevolezza che Cantlie sia un prigioniero.

Da gioco reale a gioco a gioco virtuale Sempre nell’ambito della comunicazione 2.0 viene inserita la cosiddetta “gamification”, vale a dire ludicizzazione: attraverso una pratica piacevole come il gioco vengono diffusi i messaggi jihadisti. Si tratta di giochi di ruolo e di combattimento all’infedele appartenenti ai maggiori brand occidentali, finalizzati a dare un minimo di training, reclutare e fidelizzare. “L’emulazione dei videogame nella realtà – spiega ancora Matteo Colombo – è rivolta soprattutto ai giovani per due ragioni: sono più vulnerabili alla propaganda e sono il target più ambito, per garantire una nuova generazione di jihadisti allo Stato Islamico. Il contenitore globale di tutti i contenuti mediatici descritti finora è la galassia dei social network e, in particolare, Twitter e Facebook. Se da un lato fungono da mediateca per e-book, video, reportage e quant’altro, dall’altro sono un mezzo potente per la radicalizzazione di cellule. I social hanno completamente mutato la struttura del jihadismo globale, assumendo una forma sempre più sviluppata orizzontalmente.

Il franchising del terroreLa struttura orizzontale dell’Isis è ben visibile nei recenti attentati, compiuti per lo più da lupi solitari. “Ormai è un franchising del terrore - afferma sempre Matteo Colombo – Una persona isolata decide di organizzare attentati, ma la sua affiliazione all’Isis, a volte, non corrisponde ad un effettivo inquadramento del singolo in una gerarchia terroristica”. Per questa ragione, quali attacchi sono davvero riconducibili al califfato? Secondo Colombo, “il continuo parlare di rivendicazioni non ha quasi più senso in un'epoca in cui sono i singoli terroristi ad organizzare le azioni in autonomia, attribuendole al sedicente Stato Islamico”.