In diverse occasioni, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che il governo intende ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese, spiegando che la strategia di rilancio dell'economia italiana pensata dall'esecutivo passa anche alla sua “progressiva riduzione”, fino a circa il 40% entro il 2019.
In Italia, la pressione fiscale – ovvero il rapporto tra il prelievo fiscale (imposte dirette, imposte indirette e imposte in conto capitale), quello para-fiscale (contributi sociali) e il Prodotto interno lordo (PIL) – è cresciuta parecchio: una recente analisi del Centro Studi Unimpresa, basata sui dati della Banca d'Italia, osserva che la pressione fiscale è aumentata progressivamente nell'ultimo decennio, passando dal 39,1% del PIL nel 2005 all'attuale 43,5% nel 2015.
Una crescita che si è arrestata soltanto lo scorso anno – secondo l'ISTAT, nel 2015 la pressione fiscale è diminuita leggermente rispetto al 2014 (-0,1%) – e che trova pochi riscontri nel resto dei nostri principali partner economici: nel 2015 la pressione fiscale era al 39,6% in Germania (+1,2% rispetto al 2005), al 34,8% in Gran Bretagna (-2%) e al 34,6% in Spagna (-2%).
Solo i contribuenti francesi fanno i conti con una pressione fiscale superiore a quella italiana (47,8%), ma “l'aggravio – osserva il Centro studi di Unimpresa – tiene il debito al 95,8% del PIL”.
In Italia, nel 2015, il rapporto tra il debito e il Prodotto interno lordo era al 132,7%.
Confcommercio sostiene che l'obiettivo del governo – abbassare la pressione fiscale a circa il 40% entro il 2019 – è “una sfida eccezionale, ma possibile”. Per centrarlo, spiegano gli analisti di Confcommercio, sarà necessario bloccare la spesa pubblica ai livelli del 2016, eliminare 21 miliardi di sprechi locali e far crescere il Prodotto interno lordo di oltre l'1,4% nel triennio 2017-2019.